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Terrorismo, Galantino: “Non serve dire “je suis Charlie””

Terrorismo, Galantino: “Non serve dire “je suis Charlie””

CdV. Nelle stesse ore della strage di Parigi, “in Nigeria duemila persone venivano uccise, due bambine sono state fatte saltare in aria”. Lo sottolinea il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, vescovo di Cassano, in un’intervista a TV2000. “La comunicazione in quei giorni ha veramente contribuito a creare una coscienza che potesse portarci a piangere per loro oppure siamo stati aiutati da alcune lobby a dire tutti la stessa cosa?”, si chiede il vescovo. E rispondendo ad una domanda dell’intervista aggiunge: “Non so se siamo in grado veramente in questo momento di versare lacrime con sincerità, con intensità”. Secondo Galantino, contro la violenza, l’intolleranza e il terrorismo, “bisogna fare molto anche nella comunicazione”. Riferendosi alla famosa risposta di Francesco sul “pugno” che rischia dal figlio chi offende una mamma, monsignor Galantino afferma: “il realismo del Papa ci aiuta molto. Il dialogo sì, sempre, ma non significa mettersi di fronte all’altro e necessariamente aspettare che lui impari la mia lingua quando la sua è soltanto orientata, sintonizzata sulla violenza e sul sopruso”. “Bisogna – sottolinea il presule – che io trovi tutti i mezzi possibili e necessari perchè l’altro capisca che il suo linguaggio è sbagliato, che sta portando morte”. Riguardo infine ai tanti cristiani che in diversi paesi sono perseguitati in modo atroce mentre la cosa lascia spesso indifferente l’opinione pubblica mondiale, Galantino confida: “ho l’impressione che anche la persecuzione dei cristiani, o comunque le morti violente per motivi religiosi, siano delle statistiche”. La loro situazione, però, è realmente drammatica: “i cristiani perseguitati – spiega – non sono nemmeno in grado di alzare una mano, per cui subiscono soltanto. E pensare che loro possano attivarsi per mettersi contro coloro i quali, ad esempio l’Isis, li sta perseguitando, li sta massacrando, è assolutamente impensabile”. “Cosa possono fare i cristiani in quelle circostanze?”, gli chiede allora TV2000 e il segretario Cei, da poco reduce da una visita in Iraq per visitare i campi profughi del Kurdistan, dove si sono rifugiati i cristiani in fuga da Mossul e dalla Piana di Ninive, risponde: “evidentemente difendere i loro diritti dove possono farlo. Loro lo stanno facendo ora soltanto fuggendo”. In questo contesto, conclude il vescovo, “diventa indispensabile far capire ai nostri fratelli perseguitati che non sono stati anche abbandonati da noi. Molto spesso – infatti – la forza per reagire a queste persecuzioni terribili, la trovano nel nostro appoggio, nel nostro aiuto, nel nostro sentire con loro”.

 

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