Sila nel patrimonio dell’Unesco: un ecosistema unico e variegato

Sila nel patrimonio dell’Unesco: un ecosistema unico e variegato

CATANZARO. Gli “Ecosistemi forestali della Sila” candidati a rappresentare l’Italia nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco per il 2019. La decisione è del consiglio direttivo della Commissione Nazionale Italiana dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Si tratta di un importante traguardo di un percorso ancora molto lungo e di grande rilievo. A sostenere questa iniziativa è soprattutto il Parco Nazionale della Sila, istituito il 14 novembre 2002 contemporaneamente all’Ente di gestione. Il Parco ricomprende i territori già ricadenti nello “storico” Parco Nazionale della Calabria (1968) che ha cessato di esistere con il nuovo ente. L’obiettivo è quello di tutelare e valorizzare le aree di rilevante interesse ambientale situate tra Sila piccola, Sila grande e Sila greca ed estese su 73.695 ettari. Del Parco fanno parte 21 Comuni, 6 Comunità Montane e 3 Province della Regione Calabria. II Parco Nazionale della Sila è dotato di una vasta biodiversità vegetale che cambia con il variare dell’altitudine. Caratteristiche straordinarie e particolari, così numerose da rendere difficile una sintesi. Si inizia con l’alta macchia mediterranea in cui si evidenziano il corbezzolo, i cisti, la ginestra di Spagna, l’erica, il ginestrone, la ginestra spinosa, con soprassuoli di leccio, carpino, frassino, acero, ed altre. Sono ben rappresentati gli uliveti ed i vigneti coltivati su terreni sistemati a terrazzamenti, con piante sparse di ciliegio, fichi, gelsi, e vari altri fruttiferi. Si passa poi per i querceti (roverella, cerro, farnia, rovere) e per i vasti castagneti, anch’essi sistemati, in gran parte, a terrazze o a lunette. Di seguito si sale verso la fascia del pino laricio, con vasti pascoli che si alternano a terreni coltivati a patate, a grano, a segale, a prato, a frutteto, e ad estese foreste di pino laricio calabrese, in gergo detto pino silano, che raggiunge anche dimensioni maestose. Si tratta di pinete che traggono la loro origine dall’ immensa antica foresta, la Hyle dei Greci e la Silva dei Romani, decantata da Virgilio, Strabone, Dionigi D’Alicarnasso ed altri. Verso il limite superiore e nelle stazioni a maggiore piovosità e quindi a più alta umidità si ha modo di riscontrare uno sporadico grado di mescolanza del pino con il faggio. Tra le varie specie esistenti, l’ontano napoletano ha la particolarità di possedere nelle radici delle nodosità dovute alla presenza di un actinomicete, il Bacterium radicicola, grazie al quale può assimilare l’azoto atmosferico arricchendone il suolo; questo suo potere fertilizzante non è sconosciuto ai contadini silani che in passato hanno preferito trasformare a coltura agraria i terreni in precedenza occupati da questa specie. Le pinete silane costituiscono delle formazioni naturali monolite dalle quali nell’ambiente climax, cioè di equilibrio relativamente stabile con tutti i fattori biotici e abiotici, è esclusa qualsiasi altra specie arborea; per quanto riguarda le piante arbustive ed erbacee che spesso accompagnano il pino laricio, sembra che non esista un’associazione particolare ma solamente una fortuita convivenza di specie provenienti dalle zone fito climatiche superiore ed inferiore. Sul versante ionico orientale si nota anche la presenza del sorto ciavardello, del carpino bianco e del carpino nero o carpinello. In questa fascia è anche da ricordare la Genista anglica, in gergo detta “ciciarella”, sempre più invadente; la sua presenza risulta anomala in quanto si tratta di specie a distribuzione atlantica, dalle coste del Portogallo alla Danimarca. Alle altitudini superiori ci si imbatte nella fascia del faggio che costituisce la specie forestale predominante. In vaste zone, tra le quali il complesso boscato del Monte Gariglione e di Macchia dell’Orso nella Sila piccola ed il Vallone Cecita, in Sila Grande, il faggio è mescolato con l’abete bianco, a gruppi più o meno estesi, il quale tende a sfuggire dei crinali e comunque dalle zone battute dai venti. Nelle foreste del Gariglionesi si ha modo di ammirare alcuni plurisecolari e maestosi esemplari di abete bianco e di faggio, monumenti viventi, residui della giungla vergine o “Urwald”, mai sfiorata da mano umana, ancora esistente all’inizio di questo secolo e descritta con grande ammirazione da Norman Douglas nel suo libro “Vecchia Calabria”.

 

 

 

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