Rogo di Catanzaro, la città piange le vittime

Rogo di Catanzaro, la città piange le vittime

 

 

 

CATANZARO/ Gli applausi all’inizio e alla fine, le lacrime e lo strazio dei familiari, la commozione e l’emozione per un “dolore indicibile”, lo sgomento e anche un pizzico di rabbia hanno accompagnato le bare bianche che custodivano i corpi dei tre fratelli Corasoniti Saverio (22 anni), affetto da autismo, Aldo Pio (14) e Mattia (12) morti nell’incendio della loro abitazione nel quartiere Pistoia, alla periferia di Catanzaro.
L’incendio ha anche provocato il ferimento dei genitori Vitaliano Corasoniti (42 anni)  e Rita Mazzei (41), e due loro fratelli, Antonello (14), e Zaira Mara (10), tutti attualmente ricoverati in gravi condizioni.
Era gremita, la Basilica dell’Immacolata nella quale si sono celebrati i funerali delle vittime di una tragedia che racconta anche una drammatica storia di disperazione e di solitudine, quella della famiglia Corasaniti, distrutta da un inferno di fuoco e di fiamme che lascia ancora aperti tanti interrogativi.

“Perché è accaduto? Perché lì?”, si è infatti chiesto l’arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace monsignor Claudio Maniago nell’omelia. “Un dolore indicibile”, ha detto ancora monsignor Maniago. Davanti alle tre bare bianche, i familiari di Vitaliano Corasoniti, il padre delle tre vittime, mentre non ci sono i familiari della madre delle vittime, a destra, a fianco dei gonfaloni del Comune, della Provincia e della Regione, le autorità, tra le quali il sindaco Nicola Fiorita e il presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso.
“Saverio, Aldo e Mattia sono al centro dei sentimenti dell’intera comunità catanzarese e non solo, della comunità ecclesiale e civile”, ha esordito monsignor Maniago: “Il dolore estremo – il più lacerante che possa colpire un essere umano – è la sofferenza e lo sgomento di fronte alla morte di ragazzi innocenti. È un dolore – ha rilevato l’arcivescovo – che non può essere detto, perché le parole non sono in grado di contenerlo ed esprimerlo. Forse le due espressioni che meglio riescono a segnalarlo sono il grido e il silenzio”.
E poi, l’interrogativo forse più profondo che l’arcivescovo pone ai fedeli: “Dove stanno adesso Saverio, Aldo e Mattia? Questi nostri piccoli amici ci guardano. Noi, confortati dalla parola del Vangelo, siamo certi che Gesù è andato loro incontro e li ha subito abbracciati, con infinita tenerezza, come faceva quando avvicinava i bambini sulle strade della Palestina. A questi piccoli innocenti segnati dalla croce del Signore, ma anche trasfigurati dalla gloria della Sua risurrezione, così vicini al Signore, noi adesso raccomandiamo loro di aver cura della mamma, del papà e del fratello e della sorellina che sono nella sofferenza e dovranno affrontare una prova molto dura per il loro cuore”.

“Gli raccomandiamo – ha poi detto monsignor Maniago – di fare una invocazione speciale per questa loro famiglia, perché, aiutata dal concreto sostegno di tutti, possa superare, per quanto possibile, questo passaggio sconvolgente della loro esistenza”.
Nelle parole dell’arcivescovo la speranza ma anche il monito: “Dobbiamo tutti vigilare e contribuire insieme a realizzare una città più concretamente giusta, sicura e solidale, dove a tutti sia data la possibilità di costruire onestamente e con dignità il proprio domani”, ha concluso monsignor Maniago con un messaggio rivolto alle istituzioni, tutte, perché la tragedia che ha decimato la famiglia Corasoniti è anche una tragedia sociale, maturata nel quartiere più a rischio del capoluogo.
Ma è anche dai familiari che arrivano i passaggi più intensi. Parole forti, quelle della nonna paterna Maria Spina, che ha “difeso” la sua famiglia, a partire dal figlio Vitaliano Corasoniti, il papà delle tre vittime, parlando di “una persona speciale e di una squadra” unita nel sostegno a Saverio, di una squadra che “non aveva vita sociale non perché avesse paura del quartiere in cui vivevamo ma perché si dedicavano all’amore verso Saverio”.
C’è stato anche spazio per la denuncia, da parte della nonna paterna, che ha sottolineato il coraggio di una famiglia rom che si è “precipitata a rompere vetri, a portare materassi, sono andati sopra a tentare di aprire la porta, perché se i vigili del fuoco fossero arrivati prima – ha osservato Maria Spina – questi angeli non me li trovavo qui”. Ma alla fine continua a primeggiare il dolore, quello che anche Gessica, zia paterna dei tre fratelli morti, ha manifestato leggendo in chiusura dei funerali una lettera struggente: “La vita è stata ingiusta con voi, sarà difficile vivere senza di voi, vi ameremo sempre”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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