Estorsioni, arrestati sei del clan Labate
I carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno arrestato membri della cosca di ‘ndrangheta “Labate”, dediti a estorsioni, detenzioni di armi da guerra, comuni da sparo e clandestine e trasferimento fraudolento di valori. Nell’operazione, denominata “Cassa continua”, i militari, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari e contestuale decreto di sequestro preventivo nei confronti di 6 persone (4 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), nonché una misura interdittiva personale (sospensione per mesi 12 dall’esercizio di pubblico ufficiale o servizio) e una misura di sequestro preventivo delle quote di partecipazione e di tutti gli elementi presenti nel patrimonio aziendale riguardante una impresa di onoranze funebri denominata “Croce Amaranto” con sede in Reggio Calabria.
Le persone arrestate nell’ambito dell’operazione Cassa Continua condotta dai Carabinieri di Reggio Calabria contro la cosca Labate sono: Pietro Toscano, di 67 anni; Paolo Falco di 50 anni, Antonio Laurendi di 64 anni, Francesco Toscano di 41 anni, Massimiliano Latini di 44 anni e Vincenzo Laurendi di 31 anni (i primi 4 in carcere e gli ultimi 2 ai domiciliari). Le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, estorsione e tentata estorsione aggravata, detenzione illegale di arma comune da sparo e di armi e munizioni da guerra e armi clandestine, illecita concorrenza aggravata, ricettazione aggravata dalle modalità mafiose, trasferimento fraudolento di valori aggravato dalle modalità mafiose, detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio.
Dalle intercettazioni eseguite nell’ambito dell’operazione Cassa Continua, condotta dai Carabinieri di Reggio Calabria contro la cosca Labate, è emerso che Pietro Toscano ha raccontato nel corso di una conversazione che tale “Nino” gli aveva proposto la somma di 500 milioni di lire per corrompere un giudice (deceduto negli anni scorsi) in servizio all’epoca presso il Distretto giudiziario di Reggio Calabria. Il tentativo non venne portato a termine per la ferma opposizione di una donna, la cognata di Toscano, che quest’ultimo voleva utilizzare per avvicinare il magistrato, la donna rifiutò l’offerta di denaro.
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