Il Procuratore aggiunto di Reggio, Giuseppe Lombardo nel processo di appello sulle stragi:“Dietro la ‘Falange armata’ mafie e servizi deviati”

“Fu Totò Riina, durante il vertice di Enna , tra il 1991 e il 1992, a comunicare ai presenti che ogni attentato attuato da Cosa Nostra doveva essere segnalato con la sigla Falange Armata, sigla utilizzata in Calabria per la prima volta il 9 agosto 1991 con l’omicidio del sostituto procuratore della Cassazione, Antonino Scopelliti”. Lo ha detto il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nel corso del dibattimento di appello in cui sono imputati il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e Rocco Santo Filippone, individuato dagli investigatori come ‘uomo di fiducia’ dei Piromalli di Gioia Tauro, già condannati in primo grado all’ergastolo per il duplice omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo. Il processo è in corso a Reggio Calabria. Secondo il magistrato,”un’entità dei servizi deviati autorizzò ‘ndrangheta e Cosa nostra a utilizzare la sigla”. Lombardo ha approfondito, alla luce dei verbali dei collaboratori di giustizia Antonio Schettini, “uomo di fiducia per il narcotraffico del clan Papalia”, Annunziatino Romeo e Antonino Fiume, la cointeressenza tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra in ordine al periodo delle stragi, e l’origine della sigla ‘falange armata’, “nota come Falarm – ha detto Lombardo – che insieme al Gos (gruppi operativi speciali) e Nac (Nucleo azioni coperte), costituiva la sezione K della settima divisione del Sismi e la Gladio”. La pubblica accusa, inoltre, ha tratteggiato il legame strategico della ‘componente riservata’ della ‘ndrangheta, costituito “dai Piromalli, i De Stefano, i Mancuso e i Papalia”, che a Nicotera, in un villaggio turistico -secondo quanto riferito dal pentito Franco Pino- si incontrarono nel 1992, per valutare la richiesta di Cosa Nostra di partecipare alle stragi di quegli anni.
“Falange Armata -ha detto Lombardo- è la sigla usata anche per confondere le ragioni vere dell’omicidio dell’operatore carcerario Umberto Mormile, assassinato su mandato del boss di Platì, Domenico Papalia”. Mormile, ha detto il magistrato, “si rifiutava di rilasciare relazioni di servizio in favore della condotta di Papalia”.