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Risolto il “giallo” di Rosarno: uccise la madre perché aveva una relazione con un boss rivale

REGGIO CALABRIA. Uccise la madre dopo aver scoperto che intratteneva una relazione con il boss di un’altra famiglia. Questa l’accusa nei confronti di Francesco Barone, 22 anni. Secondo gli investigatori, l’uomo, alla testa di un commando di sicari, uccise la donna, Francesca Bellocco, e ne occultò il cadavere. La donna intratteneva una relazione fedifraga col boss di un’altra famiglia mafiosa di Rosarno, Domenico Cacciola, anch’egli scomparso contestualmente. I fatti risalgono all’agosto del 2013; l’omicidio è avvenuto a Rosarno. I dettagli sonio stati illustrati nel corso di una conferenza stampa dal procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. ”È talmente inimmaginabile che mi riesce persino difficile parlare di un figlio che uccide la propria madre” ha detto il magistrato. Francesca Bellocco, nata nel 1970, scomparve scomparsa il 18 agosto 2013. L’accusa a carico del giovane, oltre che di omicidio e di occultamento di cadavere, detenzione e porto di armi comuni da sparo, aggravati dal metodo mafioso. L’omicidio, infatti, secondo gli investigatori rientra nella logica perversa e arcaica del “codice” della ‘ndrangheta, poiché il figlio, aiutato da un commando, avrebbe ucciso la madre per punirla di una relazione fedifraga con un esponente di un’altra cosca. Il giovane, raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Reggio Calabria, è stato arrestato all’aeroporto di Lamezia Terme, dove stava per imbarcarsi su un volo diretto in Lombardia per un viaggio già programmato. Qualche giorno prima la Procura aveva spiccato un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, ma il giudice di Palmi non aveva convalidato il fermo. Coadiuvato dal procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza e alla presenza del Questore di Reggio Calabria, Raffaele Grassi, e del colonnello Lorenzo Falferi, comandante provinciale dei Carabinieri, nonché del capo della Squadra Mobile Francesco Rattà e del suo vice Fabio Catalano, e del capo del Nucleo investigativo del reparto operativo dell’Arma, tenente colonnello Michele Miulli, il procuratore Cafiero De Raho ha ripercorso la vicenda del barbaro assassinio di Francesca Bellocco. Le indagini sono state avviate il 21 agosto 2013, quando il figlio ha denunciato la scomparsa della madre ai Carabinieri in provincia di Brescia. Secondo l’accusa, infatti, subito dopo l’omicidio il giovane avrebbe raggiunto il padre, Salvatore Barone, a Padenghe sul Garda, dove il genitore stava scontando la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Qui, a tre giorni dal delitto, il giovane avrebbe denunciato la scomparsa della madre, dicendo che la donna in quei giorni era a Rosarno ma non aveva più dato notizie di sé. Secondo la ricostruzione degli investigatori, la donna, che viveva col marito in Lombardia, precedentemente era tornata a Rosarno in compagnia dei figli per le vacanze estive, quando una notte fu sorpresa in casa dal figlio, in compagnia dell’amante, Domenico Cacciola. Quest’ultimo si allontanò, per poi sparire a sua volta. Prima di sparire nel nulla, l’uomo tentò di contattare telefonicamente la donna, senza ricevere risposta. Nessuno dei suoi parenti finora ha denunciato la scomparsa di Domenico Cacciola. Gli inquirenti hanno subito imboccato la pista di ‘ndrangheta, posto che Francesca Bellocco è nipote del boss ergastolano Gregorio Bellocco, e Domenico Cacciola è presunto elemento di vertice dell’omonima cosca, federata ai Bellocco. Ai aiutare gli inquirenti, che hanno passato al setaccio i tabulati telefonici, è spuntato un testimone oculare. “Una figura – ha spiegato il procuratore Cafiero De Raho – che con un nobilissimo gesto ha deciso di collaborare con la giustizia a costo di grandi sacrifici”. L’uomo ha raccontato agli investigatori alcune fasi salienti di quella notte. La mattina del 18 agosto 2013, intorno alle 7.15, vide arrivare a bordo di una utilitaria alcuni uomini armati col volto coperto da un passamontagna, e sentì un unico grido della donna: “perdonatemi”. Ancora, il testimone ha riconosciuto Francesco Barone che vide uscire dal garage alla guida di un’altra utilitaria con seduto al fianco uno dei complici. Secondo gli inquirenti, Francesca Bellocco era in quell’auto, già morta o tramortita. Da allora di lei non si è avuta più traccia. Dalle indagini è emerso anche che, dopo la scoperta dei due amanti, la donna tentò di telefonare al marito in Lombardia, ma riuscì solo a dire “ho sbagliato”, perché il telefono le venne tolto di mano. Il marito avrebbe richiamato per capire cosa stesse succedendo, ma stavolta avrebbe risposto il figlio, spiegando che la madre “non sta bene”, mentre in sottofondo la donna diceva “non è vero”. Forse, secondo gli inquirenti, un vano tentativo della donna di ricevere il perdono del marito, ma non ne avrebbe avuto l’occasione. Il testimone di giustizia ha dovuto abbandonare Rosarno insieme alla sua famiglia e vive in un luogo sicuro.

 

 

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