Personalizza le preferenze di consenso

Utilizziamo i cookie per aiutarti a navigare in modo efficiente ed eseguire determinate funzioni. Di seguito troverai informazioni dettagliate su tutti i cookie in ciascuna categoria di consenso.

I cookie classificati come "necessari" vengono memorizzati nel tuo browser in quanto sono essenziali per abilitare le funzionalità di base del sito.... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

Clan, imprenditori e società fantasma: 27 in manette tra Calabria e Toscana

Clan, imprenditori e società fantasma: 27 in manette tra Calabria e Toscana

 

REGGIO CALABRIA. Ventisette fermi, 46 persone denunciate e 51 imprese sequestrate per un valore complessivo di 100 milioni di euro. Sono i numeri dell’operazione “Martinagala” condotta dalla Dia e dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria (un altro blitz è scattato da Firenze) che hanno eseguito il decreto di fermo spiccato dalla Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore vicario Gaetano Paci. L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dagli aggiunti Stefano Musolino e Francesco Tedesco, ha accertato l’esistenza di un sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti, con base a Bianco, e proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero. Le accuse a vario titolo sono di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati fallimentari ed altro. Gli inquirenti indicano in Antonio Scimone il principale artefice di un meccanismo di false fatturazioni e vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali; nonché altri presunti elementi di vertice in Antonio Barbaro (cosca Barbaro “I Nigri”), Bruno Nirta (cosca Nirta “Scalzone”) ed il figlio di quest’ultimo Giuseppe Nirta, nipote e omonimo del boss della ‘ndrina ‘La Maggiore’ di San Luca, ucciso nel 1995. Per Giuseppe Nirta il giudice Paola Belsito ha disposto il carcere in quanto ritenuto soggetto che opera “in collegamento, nell’interesse, a favore di articolazioni mafiose storicamente e stabilmente connotate”, le cosche Nirta di San Luca e Barbaro di Platì. Gli altri destinatari della misura in carcere sono: Antonio Scimone, 43 anni, di Melito Porto Salvo, Cosma Damiano Stellitano, 53 anni, nato a Melito Porto Salvo ma residente a Vinci (Firenze), Antonio Barbaro, 45 anni di Platì e residente a Cosenza, Andrea Iavazzo, 65 anni, nato a Fucecchio (Firenze) e residente a Pistoia, Maurizio Sabatini, 58 anni, di Santa Croce sull’Arno (Pisa), Giovanni Lovisi, 64 anni, originario di Salerno e residente a Santa Croce sull’Arno (Pisa), Lina Filomena Lovisi, 33 anni, di Santa Croce sull’Arno (Pisa), Giuseppe Pulitanò, 30 anni, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), Ferdinando Rondò, 44 anni, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), Francesco Savario Marando, 40 anni, di Locri (Reggio Calabria). Ai domiciliari gli imprenditori Alessandro Bertelli, 45 anni, di Empoli (Firenze) e Filippo Bertelli, 49, di Fucecchio (Firenze), e Marco Lami, 59 anni, di Santa Croce sull’Arno (Pisa). Il sistema si basava su un gruppo di società “cartiere”, coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, che avevano sede in vari paesi europei, tra cui Croazia, Slovenia, Austria e Romania, e dopo un paio d’anni di “attività”, venivano trasferite nel Regno Unito e cessate, in modo da evitare successivi accertamenti sulla contabilità. Le operazioni fittizie servivano a mascherare trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali a commettere diversi illeciti, principalmente riciclaggio, e reimpiego dei relativi proventi. Un meccanismo messo a disposizione dei numerosi “clienti”, che in gran parte erano imprenditori espressione diretta o indiretta delle cosche di ‘ndrangheta dei tre mandamenti operanti sul tutto il territorio provinciale di Reggio Calabria. L’indagine ha evidenziato anche la capacità di infiltrarsi negli appalti pubblici. In particolare la Dia ha individuato tra gli imprenditori che hanno usufruito del “sistema” messo in piedi: Pietro Canale, (socio di maggioranza ed amministratore della Canale Srl, società molto attiva a Reggio Calabria nel settore della costruzione e gestione di condutture di gas), accusato di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro e beni di provenienza illecita; nonché l’imprenditore Antonino Mordà e un impiegato di banca, cui viene contestato il reato di riciclaggio, il quale si sarebbe dimostrato sempre solerte nel soddisfare le illecite esigenze del Mordà. Il filone di indagine seguito dal Gico della Guardia di Finanza di Reggio Calabria invece ha riguardato le “prestazioni” che l’associazione guidata da Scimone avrebbe fornito alla famiglia Bagalà di Gioia Tauro e a Giorgio Morabito, collegati alla cosca Piromalli. Tali imprenditori erano stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione “Cumbertazione”, condotta dal Reparto della Guardia di Finanza su delega della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, in quanto, quali imprenditori espressione della ‘ndrangheta, avrebbero agevolato gli interessi di quest’ultima nel settore degli appalti pubblici.

 

Cafiero de Raho: “La ‘ndrangheta assorbe parte dell’economia legale”

FIRENZE. In questa inchiesta della Dda di Firenze appare “un sistema economico, complice e consapevole, che trae dei propri utili. In questo caso abbiamo una ‘ndrangheta che non ha bisogno di usare violenza e di esercitare intimidazioni perché assorbe la parte dell’economia legale attraverso il sistema del guadagno, il sistema delle false fatturazioni”. Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho nella conferenza stampa di Firenze in cui sono state illustrare le due operazioni contro la ‘ndrangheta ‘Vello d’Orò della Dda di Firenze e ‘Martingala’ della Dda di Reggio Calabria. “Sistemi che consentono alla stessa ‘ndrangheta – ha proseguito Cafiero de Raho – di coprire le proprie ricchezze che provengono da traffici illeciti”. “Le cosche che operano sia sul mandamento jonico, sia quello tirrenico che nella città di Reggio Calabria, operano tramite accordi economici che consentono loro di fare affari, come dimostrano queste inchieste con meccanismi societari che consentono di ottenere ulteriori guadagni e che si avvalgono di società costituite all’estero”, ha detto ancora il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho.

 

Paci: “Niente più coppole e lupara. La ndrangheta come società di servizi’

FIRENZE. “Questa inchiesta non ha niente a che fare con coppole e lupara, non ha niente di arcaico e di vecchio. Questa è un’operazione modernissima e coinvolge tutte le componenti della ‘ndrangheta reggina, le cosche della zona ionica, quelle del centro e quelle della zona tirrenica. Emerge una struttura organizzativa, unitaria, delle cosche per riciclare”. Lo ha detto il procuratore capo di Reggio Calabria Gaetano Paci nella conferenza stampa di Firenze illustrando l’operazione ‘Martingala’ della Dda reggina con cui sono stati eseguiti 27 fermi per associazione a delinquere per ‘ndrangheta. Paci ha evidenziato che “la ‘ndrangheta si accredita alle imprese sane, inserite nei circuiti legali, come partner in grado di erogare servizi, come una società di servizi capace di erogare su scenari nazionali e internazionali una serie di opportunità che sfuggono alle regole”. “Questa ‘ndrangheta – ha aggiunto – agisce all’estero. Ma non si va all’estero senza avere un vasto know how di relazioni e supporti”.

 

Creazzo: “Nell’evasione dell’Iva la torta più grande da spartire”

FIRENZE. “La torta più grande da spartirsi nel giro di fatture false che circolavano tra società cartiere della ‘ndrangheta, che le emettevano, e le imprese toscane che contribuivano al riciclaggio, era nella evasione dell’Iva, con ingente danno all’Erario. La ‘ndrangheta, oltre a incassare rimborsi dei prestiti a interessi di usura, incassava l’Iva nelle sue società fittizie che ovviamente non la versavano”. Lo ha spiegato il procuratore capo della Dda di Firenze, Giuseppe Creazzo, parlando dell’inchiesta ‘Vello d’oro’. Gli inquirenti hanno messo in luce i vantaggi derivati dai meccanismi finanziari di riciclaggio di denaro ‘sporco’ della ‘ndrangheta, che si avvaleva di società all’estero e società ‘cartiere’ in Italia: e anche le imprese legali trovavano i loro vantaggi nell’evasione dell’Iva e con la costituzione di ‘fondi neri’ usati per le proprie esigenze. Appoggiandosi a imprese ‘sane’ del distretto del Cuoio, tra Fucecchio (Firenze) e Santa Croce sull’Arno (Pisa), la ‘ndrangheta, su richiesta di imprenditori inseriti nei circuiti legali, faceva arrivare denaro, solitamente dall’estero, da prestare ‘a nero’ e che veniva fatto emergere con fatture false per pagamenti di merce inesistente. Le fatture coprivano prestiti a nero che gli imprenditori restituivano a interessi usurari, anche ottenendo la possibilità di costituire risorse ‘a nero’ destinate al pagamento di prestazioni lavorative straordinarie dei dipendenti.

 

 

 

 

 

 

desk desk