‘Ndrangheta: a Roma arrestato latitante Bruno Crisafi
È finita all’aeroporto ‘Leonardo da Vinci’ di Fiumicino la latitanza di Bruno Crisafi, ritenuto un elemento di spicco della ‘ndrangheta. Contiguo alla cosca di Giorgi alias Cicero e benché residente a San Luca, aveva trovato, con altri complici, dimora abituale a Roma grazie a una fidata rete di connivenze. L’uomo era latitante dal 2015, quando era sfuggito all’arresto a conclusione di una grossa indagine sul traffico di droga, e nel maggio 2016 era stato condannato in primo grado dal tribunale di Roma alla pena di 20 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso. L’uomo aveva trovato rifugio a Perth (Australia) presso alcuni parenti. Ma Polizia di Stato e Guardia di Finanza non hanno mollato la presa ed erano riuscite a condurre mirate iniziative di cooperazione investigativa e giudiziaria che recentemente hanno consentito alle autorità australiane di respingere la sua richiesta di visto per soggiornare in quel paese. E quindi, braccato dalle ricerche, supportate peraltro dall’estensione internazionale dei provvedimenti restrittivi, il latitante ha deciso di costituirsi, presentandosi all’aeroporto di Roma Fiumicino con un volo da Perth. All’arrivo ha trovato i finanzieri del GICO e gli agenti della Squadra Mobile di Roma e del Servizio Centrale Operativo che, con la collaborazione della Polizia di Frontiera Aerea di Fiumicino, hanno provveduto al suo arresto e al conseguente trasferimento in carcere. L’arresto di Crisafi – riferisce un comunicato congiunto di Finanza e Polizia di Stato – rientra nel quadro di una più ampia collaborazione operativa avviata dallo SCO e dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia (SCIP) con la Polizia Federale Australiana, “per disarticolare, anche in Australia, l’operatività di sodalizi di matrice calabrese legati da tradizionali vincoli con famiglie della Locride e del versante ionico-reggino”. In proposito, nei mesi scorsi era stato promosso uno specifico progetto, denominato “Ausita”, finalizzato ad una più stretta collaborazione con la polizia federale australiana, analogamente a quanto avviene con l’Fbi. All’origine di questo arresto vi è l’operazione che nel gennaio 2015 vide i militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma in collaborazione con personale della Questura capitolina eseguire, in Italia e Spagna, una misura cautelare personale emessa dal Tribunale di Roma su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di 39 soggetti ritenuti appartenenti ad un’organizzazione criminale operante nella Capitale e collegata alle temutissime cosche di ‘ndrangheta Pelle-Nirta-Giorgi alias Cicero di San Luca. Le indagini – coordinate dalla D.D.A di Roma – avevano consentito di ricostruire l’operatività nella Capitale di un gruppo criminale che, oltre ad essere specializzato nel narcotraffico internazionale, si era reso responsabile anche di gravi fatti di sangue avvenuti a Roma. In particolare, per quanto riguarda il reato transnazionale, l’unità antidroga del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria della Gdf aveva ricostruito le rotte delle ingenti partite di droga importate nella Capitale riuscendo a sequestrare ingenti partite di cocaina e hashish. Dalle indagini era emerso che la ‘cellula criminale’, forte di propri referenti stanziati in Colombia e Marocco con il compito di trattare, alla pari, con i locali narcos, era intenzionata a monopolizzare il mercato della droga nella città di Roma diventando referente affidabile anche per altre organizzazioni criminali operanti sul territorio e collegate ad altre ‘ndrine ed alla camorra. Il tutto – viene sottolineato – per un giro d’affari milionario “che, inevitabilmente, avrebbe inquinato il circuito dell’economia legale”. La Squadra Mobile di Roma, invece, aveva arrestato i presunti autori dell’omicidio del boss della ‘ndrangheta Vincenzo Femia, ritenuto il referente romano della cosca Nirta-Scalzone di San Luca, ucciso a Roma il 24 gennaio del 2013, ad opera di un commando mafioso composto da killer calabresi. Gli esponenti apicali del sodalizio finito sotto indagine, sebbene originari di San Luca, erano da anni radicati a Roma, nei quartieri Appio, San Giovanni, Centocelle, Primavalle ed Aurelio, dove potevano contare su una fitta rete di connivenze che garantivano loro di vivere in completo anonimato e fornire, all’occorrenza, supporto logistico ai latitanti. Il sodalizio criminale, gerarchicamente organizzato, aveva ramificazioni anche a Genova, Milano e Torino dove aveva basi logistiche per il momentaneo stoccaggio delle partite di droga importate. Le indagini avevano svelato i dettagli delle rotte seguite dalle partite di stupefacente per giungere in Italia: l’organizzazione criminale poteva vantare propri fidati emissari in Marocco (tra i quali l’allora latitante internazionale Marco Rollero, arrestato ed estradato in Italia lo scorso agosto) e in Colombia, i quali, rifugiati in quei Paesi, trattavano – con i referenti locali del narcotraffico – l’acquisto di ingenti partite di stupefacenti, da importare attraverso l’utilizzo di container commerciali, ovvero allestendo vere e proprie traversate transoceaniche e nel Mediterraneo con imbarcazioni private. In Italia, invece, la filiera della vendita all’ingrosso della droga era curata da Andrea Rollero e dai fratelli Crisafi, Vincenzo e per l’appunto Bruno, il quale si era reso irreperibile, abbandonando il territorio nazionale.