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L’Opinione di Carlo Rippa/ Il difficile percorso de “La Verità” di Belpietro

L’Opinione di Carlo Rippa/ Il difficile percorso de “La Verità” di Belpietro

In edicola, dal 20 settembre 2016 è possibile acquistare, al prezzo di un euro, il quotidiano La Verità, fondato e diretto da Maurizio Belpietro. Nella presentazione ai lettori del nuovo giornale, il direttore ha scritto testualmente: ”L’inizio della storia che ha portato alla fondazione del giornale che avete tra le mani , risale ad alcuni mesi fa, al 17 maggio, giorno in cui alla direzione di Libero si è registrato un brusco “avvicendamento”. (…) Tuttavia, quell’estromissione un problema lo pone e non è privato, ma pubblico. Può un presidente del Consiglio incarognirsi a tal punto per le critiche e le notizie pubblicate da pretendere la testa del direttore del giornale che quelle critiche ha stampato?“. La mia risposta alla domanda posta da Maurizio Belpietro è totalmente negativa. La libertà di stampa altro non è se non la libertà di diffondere il contenuto di atti e di fatti facilmente e documentalmente dimostrabili, di cui si è venuti a conoscenza. Non importa la notorietà né l’importanza delle persone cui gli atti e i fatti si riferiscono. Nel caso di specie, il racconto di come è iniziata la storia che ha portato alla fondazione del giornale La Verità, rappresenta un fatto altamente significativo, peraltro compiuto in occasione della pubblicazione del primo numero della nuova testata. Ciò che invece meraviglia e non poco, è avere constatato che l’opinione pubblica, intesa nel senso più ampio del termine, non ha inteso cogliere l’occasione per difendere, nei modi e nelle forme più efficaci, la libertà di stampa, ancora una volta clamorosamente offesa. Mi rendo perfettamente conto che la professione di giornalista è molto impegnativa e complessa, perché richiede, fra le tante altre prerogative, notevole cultura, grande dignità, indipendenza di giudizio, e moltissimo coraggio. E’ per questo che i veri giornalisti si incontrano ben di rado. Ho sempre pensato che fare il giornalista è un po’ come andare contro natura, perché comporta la rinuncia al proprio egoismo, alla inesauribile sete di potere, alla illimitata accumulazione della ricchezza e, nel contempo, la difesa degli ultimi, la lotta contro l’iniqua ripartizione della ricchezza, il rispetto della natura, di ogni creatura vivente, di qualunque persona umana. E’ indispensabile inoltre avere un costante desiderio di conoscere compiutamente tutto ciò che accade nella vita di ogni giorno. E ciò non per vuota curiosità o pettegolezzo. A volte anche i fatti che sembrano assolutamente insospettabili, nascondono enormi interessi speculativi di parte che, molto spesso, finiscono per ledere anche i più elementari principi di legalità e di convivenza sociale. La redazione o la semplice variazione di un Piano Regolatore Generale di un Comune, oppure la redazione o modifica di un Piano di Assetto Idrogeologico di una Regione, possono nascondere la volontà di compiere una enorme ingiustizia, da realizzare a esclusivo vantaggio dei soliti “poteri forti”, i quali non perdono alcuna occasione per difendere o incrementare i loro meschini interessi privati. Tutto ciò accade sempre più frequentemente perché c’è assoluta carenza di “cani da guardia del potere”. Nella specificazione della linea editoriale del quotidiano La Verità è possibile leggere fra l’altro:” Questa testata aspira al ruolo di cane da guardia del potere (watch dog), caro al giornalismo anglosassone: difende le posizioni serie e ragionevoli anche a costo dell’impopolarità, morde alle calcagna i nemici della verità e dell’onesta”. Mi domando spesso quanti giornalisti riescano a esercitare la professione rimanendo fedeli all’impegno di essere sempre “cani da guardia del potere”; quanti giornalisti resistano alla tentazione di porsi al servizio dei “poteri forti”, ovvero di quelle persone che, individualmente o in forma associata, disponendo di illimitata ricchezza, riescono a corrompere tutti coloro che quei poteri sarebbero in grado di neutralizzare e, infine, di distruggere. Mi avvio alla conclusione, non prima però di avere ricordato ai lettori di leggere un pregevole articolo del direttore editoriale Stefano Lorenzetto, pubblicato in prima pagina sul numero 1 della testata, dal titolo “Ci chiameranno la “Pravda” ma era previsto”. Del predetto articolo, anche in segno di auguri sinceri di lunga vita al “nuovo nato”, che purtroppo troverà pochissimi compagni di viaggio, riporto fedelmente le parole finali: “Infine c’è un’ultima verità: tutti vogliono la verità. Se fosse così anche in edicola, ne sarebbe valsa la pena. Di cercarla e di scriverla, intendo”.
Carlo Rippa

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