L’Opinione di Carlo Rippa/ Expo 2015, crisi economica, dignità umana e Papa Francesco

L’Opinione di Carlo Rippa/ Expo 2015, crisi economica, dignità umana e Papa Francesco

                                             di Carlo Rippa

Sabato 7 febbraio 2015, nell’Hangar Bicocca, a Milano, è andata in onda una straordinaria kermesse sulle questioni del cibo e dell’alimentazione, che sono il cuore di Expo 2015. Erano presenti i vertici del Governo, con in testa il premier Matteo Renzi il quale, con la sicumera tipica del politico navigato, ha incomprensibilmente affermato: “Il 2015 per l’Italia è un anno felix”. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e papa Francesco hanno scelto di intervenire inviando videomessaggi. Il primo, in particolare, ha ribadito che l’aumento delle “diseguaglianze tra Paesi ricchi e popolazioni povere, in costante lotta per sopravvivere alla denutrizione, rende indispensabile l’adozione di un nuovo modello di sviluppo che modifichi questa inaccettabile tendenza, nel rispetto dei fondamentali valori riconosciuti e sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”. Sullo stesso argomento, papa Francesco ha riconfermato l’esigenza di mettere al centro la lotta alla povertà e a quella che ne è la radice, ovvero “l’iniquità” del sistema economico e sociale, aggiungendo che una della scelte fondamentali da compiere è “rinunciare all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria”. Le interessanti considerazioni fatte dai due illustri ospiti dell’evento, mi impongono di ritornare sull’argomento che ho trattato in un recente articolo, pubblicato su questo stesso giornale il 27 gennaio 2015, dal titolo “Crisi economica, stili di vita e religione”. In quell’articolo ho sostenuto, fra l’altro, che la gravissima crisi economica, che dura ormai da sette lunghi anni, continua a prolungare le sue nuvole nere ben oltre i pur timidi segnali di ripresa che troppo spesso vengono raccontati dalle varie autorità governative e finanziarie, con colpevole superficialità. La maggioranza delle persone, ho scritto, è ormai sul punto di perdere ogni residua speranza nel futuro, anche perché è consapevole del fatto che, sono perfino cresciute nel Paese le già intollerabili diseguaglianze patrimoniali, reddituali e finanziarie, mentre si sono ristretti ulteriormente i valori di giustizia sociale, che sono la base della democrazia. Aggiungo ora che, malgrado la ricchezza diminuisca, la produzione industriale sia quasi ferma, la disoccupazione sia in continuo aumento, la recessione colpisca quasi tutti i settori economici, un fiume di denaro contante si accumula presso le banche. Possibile? Detto in estrema sintesi, è proprio la gravità e la durata della crisi a far sì che il denaro venga accantonato nei forzieri delle banche, invece di entrare in circolo nel sistema economico sotto forma di consumi. Le banche, a loro volta, registrano un crescente aumento delle perdite sui prestiti e, di conseguenza, riducono l’erogazione dei finanziamenti alle imprese, le quali sono costrette a limitare ulteriormente gli investimenti. E’ una spirale che si autoalimenta. Anche il resto del mondo si muove nella stessa direzione. I dati diffusi pochi giorni fa da Oxfam, confederazione di 17 organizzazioni non governative britanniche, confermano che, fra un paio d’anni, la ricchezza controllata dall’un per cento più ricco della popolazione supererà il restante patrimonio lasciato al 99 per cento più povero. Di fronte ad una previsione così disastrosa, il conte Ugolino, famoso personaggio dantesco, avrebbe esclamato: “e se non piangi, di che pianger suoli?”. Eppure, scrivevo nel mio precitato articolo, io mi convinco ogni giorno di più che, malgrado il crescente degrado delle condizioni di vita; malgrado sia ormai evidente che le politiche ortodosse perseguite in questi anni per rilanciare l’economia, con la riduzione dei deficit pubblici, abbiano avuto il solo effetto di produrre una terribile recessione; malgrado l’impossibilità di sperare che la classe politica che ci governa decida finalmente di operare nell’esclusivo interesse del “bene comune”; nonostante tutto questo e molto altro ancora, io continuo a credere che una via d’uscita deve necessariamente esserci, solo che si creda, con assoluta convinzione, che la rinascita presuppone un radicale cambiamento delle proprie convinzioni politiche, dei propri comportamenti religiosi, della propria filosofia di vita. Scrivevo tutto questo, sottolineando la necessità di riflettere adeguatamente su alcune fondamentali domande poste in via preliminare. Peraltro, sarebbe stato più facile intendere il vero significato delle parole dette dal Presidente Mattarella, circa la improcrastinabile necessità di adottare “un nuovo modello di sviluppo” e, anche le domande rivolte da papa Francesco ai rappresentanti della politica con la relativa risposta: “Da dove deve partire una sana politica economica? Su cosa si impegna un politico autentico? Quali i pilastri di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica? La risposta è precisa: la dignità della persona umana e il bene comune”. Ancora una volta papa Francesco, senza sofismi di alcun genere, indica la strada da percorrere per risolvere i problemi. Egli lascia intendere che soltanto la “classe politica”, legiferando sapientemente, potrebbe creare le condizioni necessarie per dire “no a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità”, per “servire veramente il bene comune, moltiplicando e rendendo più accessibili per tutti i beni di questo mondo”, per “rinunciare all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria”, per migliorare e custodire la “madre Terra. Tuttavia, mi chiedo da tempo se la “classe politica”, in particolare quella del nostro Paese, è in grado di operare una così radicale auto conversione. Papa Francesco lo ritiene possibile perché crede nei miracoli. I miracoli, appunto.

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