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Bronzi di Riace, il dibattito tra vecchi misteri e nuove ipotesi

Bronzi di Riace, il dibattito tra vecchi misteri e nuove ipotesi
Riace in Calabria o Brucoli in Sicilia? Da dove vengono, davvero, i Bronzi di Riace? Nuovi studi scientifici e testimoni oculari hanno riaperto negli ultimi mesi il dibattito, ma anche le ricerche sulla provenienza delle celeberrime statue, forse tra le più importanti e conosciute tra i pochi originali greci in bronzo del V secolo a.C. arrivati fino a noi. A fare il punto su vecchi misteri e nuove ipotesi è il mensile Archeo, che nel numero in edicola in questi giorni pubblica un approfondito servizio di Flavia Marimpietri, con le voci degli studiosi e dei testimoni e un’intervista all’archeologo Luigi Malnati, ex direttore generale per le antichità del ministero della Cultura e prima ancora soprintendente archeologo dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Si parte dall’attualità, perché da qualche settimana la soprintendenza archeologica ha deciso di tornare ad indagare nelle acque di Riace, in Calabria, dove il 16 agosto del 1972 i due grandi bronzi, oggi esposti al Museo Nazionale di Reggio Calabria, furono trovati dal sub Stefano Mariottini. L’ipotesi avanzata negli anni è sempre stata quella che le statue, prodotte in Grecia (ad Argo?) nel V sec. a C. e forse parte di un più ampio gruppo scultoreo, fossero finite in mare con il naufragio di una nave che le stava portando a Roma. Ma il contesto non c’è più, di quella nave non è mai stata trovata traccia. Gli studi fatti all’epoca dei due più importanti restauri sulle terre di fusione delle statue hanno dimostrato la loro provenienza greca. Ma un nuovo recentissimo esame condotto dall’Università di Catania in collaborazione con l’ateneo di Ferrara (in corso di pubblicazione) rivela invece che le terre di saldatura dei bronzi sembrano essere siciliane, della zona di Siracusa. Da qui l’ipotesi – che Malnati intervistato da Archeo ritiene plausibile – che i bronzi siano stati sì prodotti in Grecia, ma poi assemblati in Sicilia per essere esposti a Siracusa allora all’apice della sua potenza. Due secoli più tardi, però, come racconta Tito Livio, nel corso della seconda guerra punica, Siracusa si mise contro i romani e finì per soccombere. Era il 212 a.C. ed è probabile che i bronzi facessero parte di un bottino di guerra imbarcato su una nave diretta a Roma e poi naufragata. Ma dove? Secondo la testimonianza dei fratelli Bertoni, figli di un ristoratore di Brucoli, in Sicilia, le statue dei bronzi (non due ma cinque) sarebbero state ripescate nel 1971, un anno prima quindi del loro ritrovamento ufficiale, proprio nelle acque del piccolo centro siciliano. La scoperta sarebbe stata fatta da sub romani che poi, almeno in parte, le avrebbero vendute. La stessa versione dei fatti viene sostenuta da un altro testimone siciliano secondo cui sarebbe stato un boss della mafia ad occuparsi del trafugamento dei bronzi: “cinque statue e due leoni”, mentre i due guerrieri che oggi conosciamo sarebbero stati ‘lasciati’ nelle acque calabresi forse proprio per farli ritrovare e depistare l’attenzione sulla parte più fruttuosa dell’operazione. Tutte ipotesi plausibili, fa notare Malnati, peccato manchino le prove. Il mistero insomma resta fitto, ma chissà che le nuove ricerche o altre che verranno -magari proprio nelle acque siciliane- non riescano finalmente a fare luce.

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