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Beni culturali a Catanzaro: recuperata un’antica scultura in terracotta 

Beni culturali a Catanzaro: recuperata un’antica scultura in terracotta 

CATANZARO. Prosegue l’opera di riscoperta del patrimonio artistico della città di Catanzaro: dopo l’iniziativa del Fai – Fondo Ambiente Italiano e del Circolo Placanica, impegnati a promuovere il restauro che presto svelerà la meraviglia dei quattro gruppi ceroplasti di Caterina de Julianis, un’altra scultura in terracotta, anticamente collocata in Villa Margherita, dopo anni, è riconsegnato al Comune di Catanzaro, all’assessorato alla Cultura, per ricongiungerla alle altre del gruppo già recuperate e fino a poco tempo fa, o semisommerse in tumuli di terra o dimenticate in una centralina elettrica o dispersa in un magazzino comunale. Si tratta di opere della mano di Andrea Boni, uno dei campioni assoluti dell’arte della terracotta risorgimentale, e della sua manifattura ancella, l’Variaghi-Boni, che ne proseguirà l’impresa con notevoli risultati. La scultura recuperata era da anni cementata a terra nel giardino di palazzo San Brunone, ex sede dell’Università di Catanzaro, ed è, probabilmente, la porzione superstite dell’effige di un giovane e sensuale Orfeo musico: la menomazione subita non ne permette la completa lettura formale, anche se la morbidezza con cui è reso l’incarnato, il dinamismo composto ed elegante delle gambe e la ricchezza di particolari sorprendenti e virtuosi, come la pelle di leone poggiata sul ceppo su cui siede il fanciullo – quasi dipinta – che si increspa per andare a coprirne l’inguine (o ancora il flauto di Pan che ciondola appeso al ramo reciso), la qualificano come preziosa reliquia di un tempo in cui la cura della bellezza era sentimento nobile e diffuso. Alcune fotografie degli anni Venti, facilmente reperibili in diverse pubblicazioni su Villa Margherita, ne restituiscono l’immagine completa: quella di un giovane nudo, seduto su un ceppo, con il capo coronato di foglie, intento a suonare allegramente un violino. La scultura è fortunatamente firmata e datata sul retro del ceppo – Andrea Boni fecit , 1879 – e questo fa dell’oggetto il più importante della serie, in quanto l’unico (per il momento) a poter vantare la firma in rilievo del maestro. Andrea Boni fu il pioniere della riscoperta della terracotta a partire dalla prima metà dell’Ottocento; la sua officina caratterizzò, e non poco, l’architettura e l’arredo urbano del neogotico lombardo. Originario di Como, moltissimi sono i lavori che Boni dissemina a Milano e in Lombardia come il Tempietto nel parco della Villa Turati a Orsenigo, Palazzo Avogadro di Quinto a Vercelli, Casa Manzoni a Milano (su diretta commissione del poeta) e le famosissime statue di Giuseppe e Anita Garibaldi sulla facciata dell’ex Teatro Fossati, sempre nel capoluogo meneghino. Il gruppo di sculture, che comprende effigi di divinità classiche e personificazioni delle stagioni, fu acquistato per conto della municipalità dall’Ingegner Stefani (titolare della ditta che progetta ed esegue l’acquedotto e punto di riferimento per la cittadinanza per gli acquisti da farsi in Italia e all’estero; sempre per suo tramite avviene l’acquisto a Parigi delle fontane monumentali in ghisa opera della Sociètè Anonyme des Hauts-Forneaux & Fonderiese du Val D’Osne), pagandole intorno alle 5000 lire dell’epoca, per dare degno ornamento al giardino pubblico in occasione della visita dei reali di casa Savoia in città il 21 gennaio 1881, giorno dell’inaugurazione ufficiale della Villa, da allora in omaggio alla sovrana intitolata Margherita. Non è certo il numero originario delle statue che componevano il gruppo (sicuramente all’appello manca il Bacco, riprodotto in numerose foto d’epoca); presso l’Assessorato alla Cultura già ne sono conservate tre, la Primavera, l’Autunno e la Venere, recuperate nel corso dell’ultimo anno grazie alla complicità, prima del dott. Baldo Esposito e poi del prof. Luigi La Rosa, titolari dell’Assessorato. Tra queste tre, già esposte nei mesi scorsi all’interno dello spazio “Concentrica”, quella che più colpisce per qualità è l’Autunno – sfortunatamente priva di marchio o di firma – affine, per la resa tenera della carne e la pacata potenza del contrapposto, alle gambe dell’Orfeo, e quindi, con prudenza, riferibile alla mano del maestro Andrea Boni. Le altre due, la porzione superstite della Venere (fino al 2004, anno in cui si fracassò a causa della caduta di un pino, al centro del laghetto dei cigni) e la Primavera, conservano il marchio Airaghi-Boni. Una terza, magnifica, Cerere (o Estate), che vanta strabilianti inserti di fiori inferro battuto nella capigliatura e sulla cinghia della veste, è ancora nel giardino di San Brunone, cementata a terra, come lo era l’Orfeo. Presto anche questa, tendenzialmente attribuibile alla manifattura Airaghi-Boni, verrà recuperata e restituita come le altre al godimento e alla memoria della cittadinanza. La magnifica Cerere viene ricordata da Patari (che chiamandola Venere ne palesa il modello compositivo di riferimento), dopo aver descritto la villa come il luogo più bello della città in uno dei suoi componimenti più famosi: “La coppia di amanti che dolce flirta seduta presso il laghetto, mentre lontano la statua bianca della Venere Medici imbrunata da un folto rampicante che sembra dolce sorrida”. Il Comune ha già ha espresso la volontà di risarcire il giardino del suo originario apparato scultoreo, e di questo la città avrà ragione di compiacersi. L’operazione di studio e recupero è stata portata avanti da un gruppo di volontari: Stefano Morelli, Oriana Tavano e Davide Marullo.

 

 

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