Anno giudiziario, Macrì: “Crisi giustizia è lentezza tempi”
REGGIO CALABRIA. “La crisi della giustizia purtroppo non si risolve, né si attenua, anzi si aggrava, nella misura in cui tardano ad essere apprestati i necessari rimedi”. Lo ha sostenuto il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Giovanni Battista Macrì, aprendo la cerimonia d’inaugurazione dell’Anno giudiziario. “La crisi – ha aggiunto – ha un solo nome: la lentezza dei tempi di decisione dei giudizi, civili e penali, che mina la certezza delle situazioni giuridiche, ostacola lo sviluppo economico e gli investimenti di impresa ed elide l’effetto deterrente, della pena, alimentando la sfiducia nei cittadini nelle istituzioni”. Macrì ha sottolineato, inoltre, la presenza di “un apparato vetusto e pletorico, che sacrifica il valore della giustizia sull’altare di un esasperato garantismo, sottoposta com’è ad un continuo riesame che si articola in tre e non di rado in più di tre gradi di giudizio, imbrigliata in meccanismi processuali che incoraggiano i tatticismi dilatori. La combinazione di questi fattori ha prodotto un arretrato impressionante, che è il vero nodo da sciogliere”. “Intervenire sul regime delle impugnazioni – ha proseguito Macrì -, escludendo, in caso di doppia decisione conforme, la possibilità di ulteriori impugnazioni deflazionando così la pendenza dei giudizi, assolutamente abnorme, di Cassazione”. Secondo Macrì, “ridurre l’arretrato significa aumentare il numero dei giudici, adeguare le strutture di supporto burocratico, oppure percorrere la strada del riformismo straordinario, sostanziale processuale”. Macrì ha parlato anche di “regolamentazione essenziale dei rapporti giuridici e di parallela semplificazione delle procedure di risoluzione dei conflitti, nonché dei molteplici riti vigenti, valorizzando al massimo il ricorso a strumenti alterativi di definizione, precontenziosi e non, pena il fallimento di qualsiasi altro progetto riformatore”. Macrì ha anche sottolineato “la necessità di intervenire sul carattere rigidamente accusatorio del rito, imperniato sulla defatigante acquisizione della prova in dibattimento e che quindi procede stentatamente tra rinvii e rinnovazioni dibattimentali, recuperando forme di istruzione predibattimentale che evitino la dilatazione dei tempi del giudizio e la creazione dei pachidermi processuali, con il rischio della scadenza dei termini della custodia cautelare nei giudizi di criminalità organizzata”. Secondo il presidente della Corte d’appello di Reggio, “occorre evitare la restrizione delle intercettazioni che depotenzi la lotta alla criminalità. È necessario pervenire ad una ragionevole equilibrio nel soddisfacimento delle istanze, a volte contrapposte, di difesa della collettività dagli attacchi criminali, di garanzia della riservatezza e della dignità della persona indagata e dei soggetti estranei”. Sulla responsabilità civile dei giudici, Macrì, ha detto che “spesso è tema portato all’esame dell’opinione pubblica utilizzando tanto un argomento capziosamente inesatto quanto un argomento fuorviante e suggestivo. Quando si afferma che il giudice è esente da responsabilità civile lo si afferma inesattamente, giacchè il responsabile diretto, lo Stato, agisce in rivalsa del giudice. Si prospetta all’opinione pubblica l’attuale regime di responsabilità civile del giudice come un privilegio di casta, in palese violazione del principio di uguaglianza”. Secondo il presidente Macrì, la situazione complessiva della giurisdizione nel Distretto di Reggio Calabria “non è migliorata. Le persistenti scoperture di organico dei vari uffici giudiziari e le consistenti mancanze di personale amministrativo che di anno in anno vengono ad aumentare, stante la mancanza di concorsi e di collocamenti a riposo per raggiunti limiti di età, rendono la situazione, in un territorio diffusamente pervaso dalla illegalità e dalla presenza della più pericolosa associazione mafiosa esistente in Italia, la ndrangheta, al limite della paralisi della giurisdizione”.