Associazione di tipo mafioso, traffico internazionale di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, estorsione, porto e detenzione di armi comuni e da guerra, corruzione in atti giudiziari, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, danneggiamento, minaccia, intestazione fittizia di beni, impiego di denaro beni o utilità di provenienza illecita, violazione degli obblighi della sorveglianza speciale, aggravati da modalità mafiose o perché funzionali ad agevolare il sodalizio mafioso. Sono i reati contestati a vario titolo alle 45 persone destinatarie delle misure cautelari eseguite stamane dai Carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria che, sotto la guida della Dda reggina, hanno colpito i clan Cacciola e Cacciola-Grasso di Rosarno, la cui unità sarebbe stata incrinata da due delitti d’onore. “Ares” il nome in codice dato all’operazione. Trentadue fermi, eseguiti il 9 luglio scorso, sono stati tramutati in arresti, ma nell’elenco dei destinatari delle misure ci sono altre sette persone che non erano state coinvolte nella precedente operazione. Sei le persone tuttora ricercate. I militari dell’Arma, in particolare, hanno ricostruito gli assetti e gli equilibri interni ed esterni alla cosca Cacciola, documentati nel corso tempo grazie alle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia. Dalle indagini emergerebbe che l’originaria compattezza della cosca si era affievolita dopo la scomparsa di Domenico Cacciola, ucciso nel 2013 dai suoi sodali per lavare l’onta di una relazione extraconiugale intrattenuta con Francesca Bellocco, a sua volta assassinata dal figlio, Francesco Barone, recentemente condannato per quel delitto. I clan erano dediti all’importazione di quintali di cocaina dal Sudamerica e di hashish dalla Spagna e dal Marocco, destinate a varie piazze di spaccio in Lombardia, Piemonte e Sicilia, ma non disdegnavano attività più “tradizionali”, come le estorsioni. Fra gli episodi documentati, un’estorsione ai titolari dell’esercizio commerciale “Upim” di Amantea, ai quali sarebbe stato imposto di contattare i referenti delle organizzazioni mafiose locali per definire i termini del pagamento del “pizzo” necessario per svolgere la loro attività nel centro del Tirreno cosentino.
Donne manager gestivano
gli affari “puliti” della cosca
Donne di ‘ndrangheta, incaricate di riallacciare i nodi dei clan, tranciati dagli arresti effettuati dalle forze di polizia, ma anche manager in grado di gestire gli affari delle “famiglie” dietro il paravento di attività legali. Emerge il ruolo particolare svolto da tre persone dall’operazione dei Carabinieri che stamane ha portato all’esecuzione di 45 misure cautelari a carico di esponenti dei clan Grasso-Cacciola di Rosarno. Sono Anna Maria Virgiglio, 56 anni, Antonietta Virgiglio, 58 anni, e Marilena Grasso di 32, tutte legate da vincoli parentali strettissimi con i vertici della cosca. Avrebbero apportato un contributo sostanziale al perseguimento dei fini illeciti dei due clan essendo pienamente inserite nei meccanismi illeciti dell’organizzazione, con il compito di assistere gli affiliati nella detenzione e nel porto delle armi, di favorire i contatti fra affiliati portando le loro “ambasciate” anche ai detenuti. Ma, soprattutto, era riservata loro la gestione delle iniziative imprenditoriali attraverso le quali la consorteria criminale “ripuliva” le consistenti somme di denaro di provenienza illecita. Gli esercizi commerciali avviati al solo scopo di riciclare il denaro ricavato essenzialmente dal narcotraffico erano stati sottoposti a sequestro preventivo contestualmente all’applicazione dei fermi già eseguiti nel luglio scorso e, attualmente, vengono gestiti in regime di amministrazione giudiziaria. Le persone già fermate erano 32. Per altre 7, non coinvolte nella rima operazione, sono state emesse misure cautelari, in carcere o ai domiciliari, eseguite giovedì.
Arrestata anche una criminologa
aspirante “regina delle carceri”
Aspirava al ruolo di “regina della penitenziaria” e per soddisfare le sue ambizioni illecite, avrebbe creato un vero e proprio “sistema criminale”, aggregando professionisti, medici o funzionari compiacenti o minacciando di escludere da successivi “affari” quelli che dimostravano di non rispettare le sue indicazioni. C’è una criminologa fra le persone arrestate questa mattina dai Carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria che hanno eseguito, in diverse città italiane, 45 ordinanze di custodia cautelare a carico di persone collegate o appartenenti alle cosche Cacciola e Grasso operanti nella piana di Gioia Tauro. Si tratta di Angela Tibullo, 36 anni, di Polistena, accusata di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, corruzione in atti giudiziari e intralcio alla giustizia, aggravati dalle finalità mafiose. Dagli approfondimenti svolti dai militari dall’Arma di Gioia Tauro, il suo ruolo sarebbe risultato determinante nelle dinamiche associative e nel perseguimento degli interessi illeciti di alcune cosche di ‘ndrangheta del “mandamento tirrenico”, con particolare riferimento alle “famiglie” Crea di Rizziconi, Grasso e Pesce di Rosarno, consentendo ai suoi assistiti detenuti indebiti vantaggi penitenziari, o sotto forma di riconoscimento di un regime cautelare più favorevole, come quello domiciliare) o sotto forma di altri illeciti benefici, tra i quali il trasferimento in un carcere ritenuto più consono.