Ogni piccolo passo che un investitore compie sul mercato ha un colore. Non si può definire in maniera neutrale ed univoca il risparmio, sia che si tratti di un investimento con una rata molto bassa, sia che l’ammontare a disposizione del cliente sia importante. Mille o centomila euro hanno peso differente, e questo non è in discussione, ma ogni mossa implica una forma di fiducia nei confronti di un segmento microeconomico, premia determinate realtà aziendali e quindi stimola o deprime determinati settori nel confronto tra presente e passato. Questa consapevolezza è uno dei passi dell’educazione finanziaria che si rende necessaria non solo per investire, ma anche per raggiungere i livelli di conoscenza del resto d’Europa. L’Italia al momento è a distanza siderale dai capofila della rivoluzione fintech e per colmare questo gap è necessario l’intervento di tutto il mercato finanziario nazionale. In questa direzione va l’occasional paper curato da Andrea Cardillo e Massimo Coletta per la Banca d’Italia. Lo studio su “Gli investimenti delle famiglie attraverso i prodotti italiani del risparmio gestito” restituisce una fotografia molto veritiera di come i risparmiatori nostrani si districano nel mercato finanziario attraverso il metodo lookthrough, che analizza il risparmio in tutte le sue fasi, dalla valutazione del rischio alla destinazione finale.
Dal 2014 al 2016 – triennio preso in considerazione dal paper – le famiglie italiane hanno dato maggiore fiducia al risparmio gestito in tutte le sue forme. Chi ha a disposizione discrete somme opta per quegli strumenti in grado di generare profitto sul medio o lungo periodo, come le polizze assicurative o i fondi pensione. Il made in Italy è stato dunque premiato nella scelta ed è cresciuto fino a raggiungere il 20% della ricchezza finanziaria complessiva. Al contempo, l’investitore italiano valuta con maggiore interesse quanto accade sui mercati esteri: la crisi fatta registrare dall’economia nazionale ha spostato grandi somme verso la Francia o gli Stati Uniti, ma questo trend è stato parzialmente “ricucito” dall’introduzione di strumenti finanziari come i PIR, votati principalmente a premiare le piccole e medie imprese del territorio. Ancor più evidente è che il risparmiatore ha compreso il metodo della diversificazione negli investimenti di somme ingenti, come confermato anche dagli specialisti di Moneyfarm: «La diversificazione è il metodo migliore per proteggerti e metterti a riparo dai rischi specifici che potrebbero colpire il tuo investimento. Diversificare vuol dire selezionare prodotti con caratteristiche diverse. In questo modo pure nel peggiore dei casi (immaginate il caso, possibile seppur improbabile, della bancarotta di un’azienda in cui avete acquistato le azioni) il vostro capitale sarà tutelato perché il peso di ogni singolo investimento costituirà solo una frazione del totale». La diversificazione ha comportato anche una preoccupante flessione dei titoli pubblici, sia italiani che esteri, a testimonianza di un cambiamento epocale cominciato già dagli scorsi anni all’indomani della crisi, che ha gradualmente equiparato l’Italia alle più importanti economie dell’area Ocse. Sorprende però che, al contrario di quanto accade all’estero, in Italia i fondi pensione siano stati accolti in maniera più fredda. Fino al 2016, infatti, il sistema previdenziale pubblico era ancora considerato affidabile e sicuro, ma le recenti manovre finanziarie hanno già costretto i risparmiatori ad adottare le giuste contromisure. Ed è proprio imputabile all’esigua raccolta dei fondi pensione nel triennio la scarsa italianizzazione degli strumenti finanziari, ma nel 2018 e fino al 2020 le carte in tavola potrebbero cambiare attraverso i tanto chiacchierati PIR.