FIRENZE. “La torta più grande da spartirsi nel giro di fatture false che circolavano tra società cartiere della ‘ndrangheta, che le emettevano, e le imprese toscane che contribuivano al riciclaggio, era nella evasione dell’Iva, con ingente danno all’Erario. La ‘ndrangheta, oltre a incassare rimborsi dei prestiti a interessi di usura, incassava l’Iva nelle sue società fittizie che ovviamente non la versavano”. Lo ha spiegato il procuratore capo della Dda di Firenze, Giuseppe Creazzo, parlando dell’inchiesta ‘Vello d’oro’. Gli inquirenti hanno messo in luce i vantaggi derivati dai meccanismi finanziari di riciclaggio di denaro ‘sporco’ della ‘ndrangheta, che si avvaleva di società all’estero e società ‘cartiere’ in Italia: e anche le imprese legali trovavano i loro vantaggi nell’evasione dell’Iva e con la costituzione di ‘fondi neri’ usati per le proprie esigenze. Appoggiandosi a imprese ‘sane’ del distretto del Cuoio, tra Fucecchio (Firenze) e Santa Croce sull’Arno (Pisa), la ‘ndrangheta, su richiesta di imprenditori inseriti nei circuiti legali, faceva arrivare denaro, solitamente dall’estero, da prestare ‘a nero’ e che veniva fatto emergere con fatture false per pagamenti di merce inesistente. Le fatture coprivano prestiti a nero che gli imprenditori restituivano a interessi usurari, anche ottenendo la possibilità di costituire risorse ‘a nero’ destinate al pagamento di prestazioni lavorative straordinarie dei dipendenti.