REGGIO CALABRIA. Operazione della Polizia di Stato per l’esecuzione del fermo di numerose persone emessi dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria accusate di essere fiancheggiatori dei boss di ‘ndrangheta Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro arrestati nel gennaio scorso dopo una latitanza durata, rispettivamente, 10 e 18 anni, e Antonio Cilona. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, favoreggiamento personale e procurata inosservanza della pena. Crea e Ferraro, inseriti nell’elenco dei latitanti pericolosi del Ministero dell’Interno, furono individuati, dopo mesi di indagini, dagli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo in un rifugio occultato nella vegetazione in una zona impervia sulle pendici di un’altura a Maropati. Con loro avevano un arsenale di armi ed esplosivo oltre a denaro e documenti di interesse investigativo. Antonio Cilona, ritenuto affiliato ai Santaiti di Seminara e condannato in secondo grado all’ergastolo, era stato arrestato anche lui nel gennaio scorso dalla polizia. Nel proseguo delle indagini, gli investigatori della polizia sono riusciti a ricostruire l’intera filiera dei fiancheggiatori dei due, individuando ruoli e contributi forniti dai singoli. Gli indagati sono ritenuti affiliati alle cosche Crea, Ferraro-Raccosta, Alvaro e Facchineri, egemoni nella zona di Rizziconi, Oppido Mamertina, Sinopoli e Cittanova. Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro furono sorpresi nel sonno da un blitz della squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo. I due si nascondevano in un bunker in metallo realizzato nella roccia tra Maropati e San Fili e con loro avevano un vero e proprio arsenale d’armi: una decina di fucili di vario genere, un mitra ed un consistente quantitativo di pistole. Ma non solo armi. Nel covo furono trovati anche i resti di una cena a base di ostriche. Giuseppe Ferraro, di 47 anni, e Giuseppe Crea, di 37, sono ritenuti due boss di rilievo delle cosche della piana di Gioia Tauro. Ferraro, latitante dal 1998, è uno degli ultimi componenti dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta decimata nella faida di Oppido Mamertina. Deve scontare una condanna all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. Giuseppe Crea, ritenuto la figura ‘strategicà dei due latitanti, è figlio di Teodoro, boss di Rizziconi, ed era irreperibile dal 2006 per una condanna per mafia. L’altro latitante che sarebbe stato aiutato dalle persone fermate nell’operazione “Spazio di libertà”, è Antonio Cilona, ritenuto elemento di spicco della cosca Santaiti di Seminara, bloccato sempre nel gennaio scorso in un villaggio turistico a Parghelia. L’uomo era ricercato per espiare una condanna all’ergastolo per l’omicidio di Carmelo Ditto, un pregiudicato ucciso in un agguato a Seminara il 20 settembre 2006. Delitto che, secondo l’accusa, era maturato nell’ambito della faida tra i Gallico ed i Santaiti. Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro usavano delle radio ricetrasmittenti per comunicare con i loro fiancheggiatori. E’ quanto emerso dalle indagini condotte dalla squadra mobile di Reggio Calabria e dal Servizio centrale operativo. I latitanti ed i loro fiancheggiatori erano soliti utilizzare frequenze radio VHF libere in etere ma sono stati ugualmente intercettati dagli investigatori grazie a particolari tecnologie. E’ stata così ricostruita non solo la gestione del menage dei boss in fuga, ma anche l’organizzazione dei loro appuntamenti con i familiari e terze persone. Tra le molteplici comunicazioni ne sono state individuate alcune che, abilmente decriptate dagli investigatori, hanno permesso di stabilire che le stesse intercorrevano fra alcuni congiunti di Giuseppe Crea e dai componenti della famiglia dei Facchineri di Cittanova verso i due latitanti, chiamati con i nomi di “Alberto” e “Ciccio”. Dalle indagini è emerso anche che a metà dicembre 2014, Crea e Ferraro furono spostati repentinamente in un altro covo gestito da persone diverse rispetto a quelle che avevano gestito la fase precedente della latitanza. Una scelta, secondo gli investigatori, dovuta al ritrovamento di una microspia nell’auto di uno degli indagati e dell’arrivo della Polizia a pochi metri dal covo. La seconda fase delle indagini è stata così dedicata alla ricostruzione dei movimenti dei sodali dei latitanti attraverso le immagini delle telecamere via via installate lungo il percorso stradale che da San Procopio, Sinopoli, Gioia Tauro e Rosarno conduceva a Maropati, dove Crea e Ferraro sono stati poi rintracciati. Fra i fermati di stamani figura anche Francesco Antonio Crea, ritenuto l’esperto della cosca omonima nell’utilizzare sistemi elettronici per disinnescare i dispositivi d’intercettazione ambientale. Era lui, secondo gli investigatori, che usava ogni tipo di accortezza – disturbatori di frequenze, bonifiche delle auto, spegnimento dei telefoni cellulari per non essere localizzato, l’appartarsi in campagna a parlare via radio in modo da non essere visto – per comunicare con gli altri sodali del gruppo.