REGGIO CALABRIA. Si nascondeva in un rifugio sotterraneo in muratura della superficie di 15 metri quadrati circa, ricavato nel pavimento di un capannone adibito a rimessa attiguo alla propria abitazione ed al quale si accedeva da una botola scorrevole su binari, Paolo Alvaro, il cinquantenne latitante arrestato a Melicuccà, nella frazione Tarapondica. L’arresto è stato eseguito dai Carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Reggio Calabria, da militari dello Squadrone Cacciatori Calabria e da uomini della compagnia Carabinieri di Palmi. I militari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, procurata inosservanza di pena e riciclaggio. Alvaro, latitante dal febbraio 2009, quando si era sottratto all’arresto nell’ambito dell’operazione “Virus”, è ritenuto membro dell’omonima cosca, insediata nei comuni di Sinopoli, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Cosoleto, Villa San Giovanni, Reggio Calabria ed altri comuni della Piana di Gioia Tauro, con ramificazioni a Roma e Torino. Gli Avaro sono detti “carni i cani” (carne di cane). Insieme al padre Domenico, Paolo Alvaro avrebbe favorito la latitanza del capo cosca, Carmine, fornendogli supporto logistico e facendogli da portavoce dei suoi ordini destinati agli associati. Avrebbe fra l’altro messo a disposizione del boss la sua masseria in contrada Caracciolo nel comune di Melicuccà, dove trovava rifugio e incontrava gli altri associati. Alvaro, secondo quanto riferito nel corso di una conferenza stampa dagli inquirenti, non era armato e quando i Carabinieri hanno forzato la botola di accesso al bunker non ha opposto resistenza. Si è mostrato anzi sorridente ai militari e si è complimentato con loro per aver individuato il suo rifugio.