Un protocollo per “assicurare una concreta alternativa di vita ai minori provenienti da famiglie inserite in contesti di criminalità organizzata o che siano vittima della violenza mafiosa e ai familiari che rifiutano le logiche criminali”. È il protocollo ‘Liberi di scegliere’, rinnovato e ampliato dai ministeri di Giustizia, Interno, Istruzione, Università e Famiglia. Il documento, siglato al ministero in via Arenula, viene aggiornato con un incremento dei finanziamenti, un ampliamento della rete di associazioni a sostegno e il coinvolgimento di nuovi uffici giudiziari: a quello di Reggio Calabria si aggiungono quelli di Catania, Palermo e Napoli. “Sono circa 150 i minori già attualmente tutelati, 30 le donne entrate nel progetto, sette le donne, tra collaboratrici e testimoni di giustizia, e anche due ex boss con ruoli apicali nella ‘ndrangheta e nella mafia che hanno avviato percorsi per proteggere i loro figli”, ha spiegato il responsabile del progetto, il giudice minorile Roberto Di Bella. E ora il protocollo, anche secondo le parole di del ministro Nordio, potrebbe presto fare da apripista al progetto di una legge per la tutela di minori e madri che escono dai contesti mafiosi: “su questo servirà una riflessione”, ha detto il Guardasigilli citando anche una proposta della presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo. “È fondamentale strappare i figli dei mafiosi dal contesto familiare impartendo loro educazione e legalità”, ha detto Nordio. Il ministro Piantedosi ha anche sottolineato “il ruolo delle prefetture e della direzione centrale anticrimine” in questo protocollo mentre per Valditara “la scuola dovrà garantire il successo formativo di ognuno di questi ragazzi”. E Bernini ha aggiunto: “Un’altra vita e possibile, questa è la chiave di lettura che stiano dando a questo progetto”. La ministra Roccella ha inoltre precisato che “è impossibile che ci siano forme di emancipazione delle donne in questa cultura, che invece le violano e le distruggono. Il ruolo delle donne è quello di scardinare interrompere la catena di trasmissione culturale di questi ambienti, con una sorta di disobbedienza”. Il giudice Di Bella ha infine spiegato: “Abbiamo processato ragazzi per aver tentato di uccidere madri che volevano separarsi dai mariti mafiosi. Davanti a questo orrore bisogna intervenire anche con provvedimenti civili. Questo progetto ha intercettato la richiesta di aiuto di molte madri che ci hanno contattato per andare via dalla Calabria e dalla Sicilia. Per gestire questo fenomeno migratorio abbiamo creato assieme a Libera e Cei una rete di accoglienza”.