Cresce il numero di suicidi in carcere e la situazione diventa sempre piu’ emergenziale. Il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Catanzaro, Luciano Giacobbe, evidenzia che il fenomeno dei suicidi fa emergere le tante criticità e problematiche del nostro sistema penale e carcerario e denota, a riguardo, il fallimento della politica italiana, sempre più distante dalla realtà in cui vivono giornalmente i detenuti all’interno degli istituti penitenziari ove la percentuale più alta della popolazione carceraria è rappresentata da poveri, tossicodipendenti, extracomunitari, persone con problematiche di salute e mentali. Il Garante spiega, infatti, che una parte di questi detenuti regge il peso della detenzione intramuraria facendo uso di psicofarmaci, oltre il 70 per cento dei detenuti ha disturbi psicologici o clinico-psichiatrici.
“Le istituzioni non riescono, allo stato, ad offrire alle persone private della libertà una efficiente funzione rieducativa della pena per un dignitoso reinserimento sociale, al contrario si registra in molti istituti penitenziari un aumento di casi di atti di autolesionismo e suicidi – afferma Giacobbe – Nel 2022 si sono verificati 84 suicidi nelle carceri italiane; nel 2023 sono state 69 le persone detenute che si sono tolte la vita e nel 2024 stiamo raggiungendo cifre record con ben 26 suicidi dall’inizio dell’anno e nel solo mese di gennaio 14, il doppio rispetto al mese di gennaio 2023. Le cause di tutti questi suicidi vanno certamente ricercate nelle tante lacune del nostro sistema punitivo, a cominciare dalla funzione rieducativa della pena che, proprio nel tentativo di conseguire pienamente la sua finalità e quindi il reinserimento sociale – spiega il Garante – deve avere avvio dalla fase iniziale della pena per i nuovi giunti e non, come spesso accade, immediatamente prima del fine pena”. In quest’ottica, il Garante Giacobbe ritiene che andrebbe prevista la realizzazione, in ogni istituto penitenziario, di reparti ad hoc per i nuovi giunti che prevedano e valorizzino: l’accoglienza nell’ambiente penitenziario ove ogni detenuto venga informato sui diritti e le regole all’interno del penitenziario; l’organizzazione di colloqui con psicologi e/o psichiatri con adeguati percorsi assistenziali personalizzati. In questa prospettiva, il Garante Giacobbe evidenzia la necessità che i reparti dei nuovi giunti vengano, ad opera delle istituzioni, migliorati per costituire luoghi di accoglienza e non di intimidazione. L’introduzione alla vita dell’istituto deve avvenire in maniera lenta e graduale, affinché il nuovo giunto abbia la possibilità di ambientarsi, anche psicologicamente, prima di tutto alla sua nuova condizione e, secondariamente, alla realtà detentiva. Il Garante Giacobbe sottolinea poi che: “ il carcere può realmente diventare per le persone detenute il luogo di risocializzazione e di inserimento sociale attraverso il potenziamento di specifici programmi contenenti attività culturali, ricreative, sportive, religiose, lavorative, d’istruzione e formazione. La vita interna del detenuto dovrebbe essere il più possibile improntata a un modello comunitario, dove le camere detentive servano esclusivamente per il riposo notturno e la giornata sia densa di attività significative. Ciò per prevenire l’autolesionismo, educando il reo alla socialità, al rispetto di se e dell’altro attraverso attività specifiche che occupino la sua dimensione umana e lo valorizzino, che diano la concreta prospettiva al detenuto di riappropriarsi della sua dignità per non farlo sentire socialmente emarginato. Pertanto, la formazione in carcere deve essere organizzata, innanzitutto, alla preparazione di figure tecniche e professionali richieste dal mercato del lavoro. Il lavoro è considerato, infatti, l’autentico presupposto del reinserimento sociale dell’ex detenuto non soltanto dal punto di vista meramente economico ma soprattutto perché esso aumenta l’autostima e la gratificazione personale. D’altra parte, le testimonianze di ex detenuti confermano l’importanza dell’esperienza di lavoro sia dentro l’istituto penitenziario che all’esterno”.
Il suicidio di una persona privata della libertà costituisce il fallimento più evidente del ruolo punitivo dello Stato che subisce una delegittimazione allorquando l’autorità statale non riesce, anche per mancanza di adeguati mezzi, a bilanciare il suo potere punitivo con l’esigenza (il diritto/dovere) di salvaguardare il corpo, ossia la salute fisica e mentale del reo. Ne deriva l’inadeguatezza del carcere ad affrontare il disagio delle persone che sono collocate al suo interno. A riguardo, sottolinea il Garante Giacobbe: “Lo shock da carcerazione si conferma come un’esperienza, alle volte, letale per soggetti fragili, non in grado di adottare efficaci strategie di adattamento di fronte alla drammaticità della situazione che si trovano ad affrontare”.