Dopo due anni e 10 mesi di udienze, nell’aula bunker appositamente costruita a Lamezia Terme, si avvia a conclusione il maxi processo “Rinascita Scott”, istruito dalla Dda di Catanzaro contro la ‘ndrangheta vibonese e i suoi sodali. Dopo oltre un mese di camera di consiglio, iniziata il 16 ottobre, il Tribunale di Vibo Valentia – presidente Brigida Cavasino, Claudia Caputo e Germana Radice a latere – è tornato in aula e si sta apprestando a leggere il dispositivo della sentenza che riguarda 338 imputati accusati, a vario titolo, di oltre 400 capi di imputazione, tra i quali associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, usura, riciclaggio, detenzione illegale di armi ed esplosivo, ricettazione, traffico di influenze illecite, trasferimento fraudolento di valori, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio aggravato, traffico di droga. Lo scorso 7 giugno l’accusa (rappresentata in aula dall’ex procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, oggi procuratore di Napoli, e dai pm Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo, Andrea Mancuso e Andrea Buzzelli) ha invocato 322 condanne – per un totale di 4.744 anni e 10 mesi di carcere – 13 assoluzioni e 3 nullità del decreto che dispone il giudizio. L’operazione Rinascita Scott è scattata il 19 dicembre 2019 e ha portato all’arresto di 334 persone. Tra gli imputati spiccano i nomi dell’avvocato, ex parlamentare ed ex massone, Giancarlo Pittelli, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreto d’ufficio e abuso d’ufficio aggravato. Nei suoi confronti sono stati chiesti 17 anni di reclusione. Chiesti 8 anni di reclusione nei confronti del tenente colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli. Imputati sono anche l’ex finanziere in servizio alla Dia di Catanzaro e poi alle dipendenze della Presidenza del Consiglio nella sede di Reggio Calabria, Michele Marinaro (chiesti 17 anni), l’avvocato di Vibo Valentia Francesco Stilo (15 anni), l’ex sindaco di Pizzo Gianluca Callipo (18 anni), l’ex assessore regionale Luigi Incarnato (un anno e sei mesi), l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino (20 anni).
Il giudice Fabio Montalto ha dichiarato “il carattere discriminatorio” dei criteri del “contributo”, ossia il numero di consegne effettuate, e delle “ore ad alta domanda”, ossia il lavoro nei festivi e nelle ore serali, “utilizzati da Foodinho srl per il calcolo del cosiddetto ‘punteggio di eccellenza'” tra i rider impiegati. Sulla base di questi criteri “di selezione” i corrieri “che effettuino più consegne e lavorino con costanza nell’orario di cena dei fine settimana”, spiega il giudice, hanno “il vantaggio di poter scegliere, con precedenza rispetto agli altri, quando svolgere le successive prestazioni”, prenotando gli “slot”. Si crea così, secondo il Tribunale, una “discriminazione indiretta dei lavoratori che per condizione personale, familiare, età o handicap sono svantaggiati rispetto ai ‘concorrenti'”. La legge prevede “che l’accesso all’occupazione e al lavoro autonomo” deve essere “improntato al principio di parità di trattamento delle persone senza distinzione di handicap ed età” e “non può certamente consentirsi ad un committente/datore di lavoro di predisporre ed utilizzare un sistema di selezione” che “ignori deliberatamente le individualità dei lavoratori posti in competizione tra loro”. Tra l’altro, chiarisce il giudice, “il criterio delle ‘ore ad alta domanda’ va dichiarato discriminatorio” anche “per ragioni di religione”, quantomeno “in relazione agli ebrei, tenuti ad osservare lo shabbat” e che dunque non possono lavorare il sabato. Poi, è stato dichiarato discriminatorio pure “il criterio della ‘mancata presentazione (cosiddetto no show)”, ossia la mancata presentazione del rider in uno slot prenotato, perché “incompatibile con la libertà dei lavoratori di scioperare secondo le modalità ritenute più adeguate”. Il Tribunale ha condannato Foodinho “ad astenersi dalle accertate discriminazioni con l’adozione, sentite le organizzazioni sindacali” di un “piano di rimozione degli effetti delle medesime discriminazioni”. E ha disposto che la società versi 40mila euro alle sigle sindacali come “risarcimento del danno”. Lo stesso giudice ha stabilito, invece, che “il sistema di riconoscimento facciale” per i rider “non ha carattere discriminatorio”.