“Una sequela indeterminata di reati, funzionali ad accrescere ii peso specifico elettorale attraverso incarichi fiduciari, nomine e assunzioni, di matrice esclusivamente clientelare, in enti pubblici, nella prospettiva di ottenere ii voto, nonchè affidando appalti anche a imprese i cui titolari avrebbero assicurato l’appoggio elettorale”. Sono quelli contestati dalla Procura distrettuale antimafia guidata da Nicola Gratteri a politici e imprenditori coinvolti nell’inchiesta che ieri ha portato ad arresti eccellenti a Crotone e nel resto della Calabria. Gli inquirenti parlano di un patto stipulato dal leader del movimento “I demokratici”, Enzo Sculco, e l’allora presidente della Regione Calabria Mario Oliverio, del Pd, con il primo che avrebbe garantito sostegno elettorale al secondo in cambio della candidatura della figlia Flora Sculco al Consiglio regionale. Con la partecipazione, anche, dell’ex vicepresidente della regione Nicola Adamo. Da questo patto sarebbero appunto derivati una serie di incarichi e appalti elargiti dai politici a dirigenti ed imprenditori di fiducia. L’operazione è stata condotta con il supporto, nella fase esecutiva, dei carabinieri dei Comandi provinciali di Crotone, Cosenza, Catanzaro, Potenza, Parma, Brescia, Milano e Mantova e dello Squadrone Eliportato Calabria. Ventidue delle persone coinvolte sono indagate per associazione per delinquere di tipo mafioso, 9 per associazione per delinquere, 3 per associazione per delinquere finalizzata alle truffe ed altri per turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, estorsione, illecita concorrenza con minaccia o violenza, trasferimento fraudolento di valori, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, turbata libertà degli incanti, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e falsità ideologica e materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
“Rapporti sistematici” con la politica, anche quella con ruoli apicali a livello regionale, per condizionare l’esito di alcune elezioni e per allungare le mani su appalti, incarichi, nomine, assunzioni nelle istituzioni del Crotonese, e poi tutta una serie di attività illegali che arrivava a coprire tutta la gamma del codice penale. Sono questi i tratti caratteristici della cosca dei “Papaniciari” dominante a Crotone, disarticolata dall’odierna operazione del Ros dei carabinieri coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri. A delineare gli affari e le cointeressenze di un’organizzazione ‘ndranghetista di altissimo rango criminale sono stati gli stessi investigatori nel corso di una conferenza stampa nella sede della Procura di Catanzaro. Numeri imponenti, quelli del blitz, che ha portato all’esecuzione di una quarantina di misure cautelari e a centinaia di avvisi di garanzia: anche indagati “eccellenti” nell’inchiesta della Dda di Catanzaro, che vede coinvolti esponenti politici di rilievo tra cui Gerardo Mario Oliverio, presidente della Regione Calabria all’epoca dei fatti contestati, risalenti al periodo temporale tra il 2014 e il 2020; Nicola Adamo, ex vicepresidente della Giunta regionale, ed Enzo Sculco, ex consigliere regionale e punto di riferimento politico nel Crotonese. “Abbiamo accertato questi rapporti continui e sistematici tra politica, pubblici amministratori, faccendieri che in cambio di appalti e assunzioni si attivavano per procacciare voti, in spregio a qualsiasi regola e a qualsiasi norma, con facilità e arroganza nella gestione della cosa pubblica”, ha spiegato nell’incontro con i giornalisti lo stesso Gratteri parlando di vero e proprio “abbraccio tra ‘ndrangheta e politica”. A sua volta il comandante del Ros dei carabinieri, Pasquale Angelosanto, ha ricordato il “condizionamento esercitato dall’organizzazione ‘ndranghetista sulla pubblica amministrazione”, un condizionamento che si sostanziava a esempio nelle nomine all’Asp di Crotone, nell’individuazione della sede dell’Aterp, l’agenzia per l’edilizia residenziale, al Comune di Crotone, alla Provincia di Crotone e nelle partecipate di questi enti: l’inchiesta -è stato quindi evidenziato dagli inquirenti- ha messo il luce, in particolare, le infiltrazioni della cosca dei “Papaniciari” in numerosi appalti pubblici, da quelli relativi all’Antica Kroton, legata alla vocazione archeologica del territorio pitagorico, a quelli in materia ambientale, e il controllo mafioso anche della festa mariana di Crotone, la cui organizzazione sarebbe stata affidata a un’associazione riconducibile alla consorteria. In più, la cosca dei “Papaniciari”, guidata dallo storico capoclan Domenico Megna, aveva messo le mani sulla filiera del gaming, della vigilanza privata in enti pubblici o allo stadio, e soprattutto si era anche espansa oltre i confini della Calabria, con propaggini in Lombardia, in Emilia Romagna e in Veneto ma anche in Austria e Germania, dove grazie all’attività della Bka, la polizia federale tedesca, il Ros è riuscito a intercettare e bloccare un pericoloso esponente dell”organizzazione. “La Bka -ha affermato Gratteri- è una delle migliori polizie al mondo, collaboriamo da decenni, purtroppo in Germania non hanno una legislazione favorevole per cui sono costretti a operare con una sola mano, auspichiamo che il prima possibile anche in Germania si facciano modifiche normative che possano rendere più efficace il contrasto alla ‘ndrangheta”. Per il comandante del Ros, Angelosanto, del resto anche questa indagine “conferma la dimensione ormai internazionale della ‘ndrangheta: abbiamo infatti accertato che la cosca ricorreva ad hacker tedeschi per movimentare denaro su conti correnti online, a dimostrazione del fatto che quando la ‘ndrangheta non ha competenze al suo interno le reperisce subito all’esterno”. In definitiva -ha quindi sostenuto Gratteri- “un’indagine importante, e anche complicata perché c’erano da controllare nello stesso tempo oltre 100 bersagli, cioè 100 indagati. L’indagine era stata iniziata dalla polizia e dalla Dia di Catanzaro, ma considerate le difficoltà di organico e la complessità dell’indagine, ho chiesto quasi la cortesia al Ros dei carabinieri di distaccare 10 uomini che erano su altre indagini perché era importare concludere questa operazione, che -ha concluso il procuratore capo della Dda di Catanzaro- non doveva restare incompiuta”.
Un abbraccio perverso tra ‘ndrangheta e politica, blitz della Dda di Catanzaro e dei CC: 34 arresti
L’indagine della procura distrettuale antimafia “ha disvelato un diffuso sistema clientelare, al centro de! quale si pone la figura di Sculco Vincenzo, soggetto da tempo implicato nelle dinamiche politico affaristiche della città di Crotone ed in grado di influenzare le istituzioni e di eterodirezionare i finanziamenti verso un gruppo di potere privo di scrupoli”. E’ il quadro tracciato dagli inquirenti del 73enne esponente politico crotonese, con un passato di leader sindacale in quanto segretario generale della Cisl calabrese, prima ancora che di consigliere regionale. Già nel 2009, peraltro, Enzo Sculco, all’epoca vice pressidente della Provincia era finito agli arresti domiciliari nell’ambito di una indagine della Procura della Repubblica di Crotone per una vicenda di appalti truccati, frode in pubbliche forniture e incarichi elargiti a persone gradite. Dalle indagini della Dda, dunque, è emersa “la sua preponderante presenza -scrive il gip Battaglia che ne ha disposto gli arresti domiciliari- nella totalità dei processi decisionali degli enti pubblici del comprensorio crotonese, quale maggiore esponente di un comitato di affari in grado di mettere a punto strategie preordinate ad un unico fine, ovvero quello di garantire che posti decisivi venissero occupati da soggetti graditi, nonchè di individuare le ditte amiche verso cui dirigere i favori. Accanto allo Sculco -aggiunge il gip- si pone la persona di Devona Giancarlo, che viene individuato quale soggetto di collegamento tra l‘imprenditoria crotonese e gli organismi regionali, grazie al ruolo assunto in qualità di segretario particolare de! presidente della regione. Devona, infatti, dopo avere assunto varie cariche all’interno del comune di Crotone in quota Pd, riusciva ad assumere un ruolo di maggiore rilievo con la legislatura Oliverio del quale, in data 28.9.2017, diventava segretario particolare, preoccupandosi di curare i contatti con i sindaci del territorio calabrese, interessati alla fruizione di finanziamenti pubblici, ed accompagnando lo stesso presidente in occasione di incontri e manifestazioni istituzionali. In tale contesto, è emerso ii suo ruolo attivo quale mediatore degli interessi degli imprenditori gravitanti nel territorio crotonese, ma anche i legami con ambienti della criminalità organizzata, dovuti agli stretti rapporti di parentela con soggetti indicati quali affiliati alla cosca Papaniciara dei Megna”. In proposito vengono segnalati “colloqui e contatti con tali soggetti ed anche espliciti riferimenti alla sua estrazione ed allusioni all’importanza di tali legami che gli consentivano un’adeguata protezione sul territorio”.
“Il boss Domenico Megna fece uccidere il rivale Sarcone”
Una delle 34 persone arrestate nell’inchiesta della Dda di Catanzaro è il boss Domenico Megna, di 74 anni, a capo dell’omonima cosca di Papanice, accusato di essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Sarcone, ucciso da killer al momento rimasti ignoti, con due colpi di pistola alla testa, il 9 settembre 2014. Il delitto avvenne all’indomani della scarcerazione di Megna. Una volta uscito dal carcere, infatti, il vecchio boss avrebbe agito per ristabilire gli equilibri, “alterati proprio dalla presenza del Sarcone – scrive nell’ordinanza il gip Battaglia – che ne contrastava la leadership e che non voleva piegarsi e rientrare nei ranghi, ritenendo di avere acquisito una dignità ndranghetistica superiore al suo rivale”. A fare il nome di Domenico Megna sono stati alcuni collaboratori di giustizia come Domenico Iaquinta e Francesco Oliverio. Secondo quest’ultimo, “Sarcone era entrato in contrasto con il Megna al punto che i due avevano avuto un violento alterco, avvenuto un mese prima della scomparsa del primo, durante il quale il Sarcone aveva pesantemente insultato il vecchio capo, definendolo pecoraro”. Ecco quindi che, sempre secondo il collaboratore, l’omicidio di Sarcone era maturato in questo contesto di rottura ed il Sarcone sarebbe stato venduto dalla famiglia Barilari che lo avrebbe “consegnato al Megna, ottenendo in cambio un vero e proprio riconoscimento criminale”. Il pentito Iaquinta, invece, ha riferito “di avere assistito in prima persona al mandato omicidiario che il Megna aveva impartito”.