REGGIO CALABRIA/ A trent’anni dalla tragica morte è stata ricordata al Gom di Reggio Calabria, la figura di Domenico Nicolò Pandolfo, primario di Neurochirurgia degli Ospedali Riuniti ucciso dalla ‘ndrangheta il 20 marzo del 1993, a Locri, dove era consulente di quel nosocomio, con sette colpi di pistola. Le cronache dell’epoca collegarono il delitto ad un delicatissimo intervento neurochirurgico non riuscito. “L’incontro si è svolto nell’aula Spinelli del nosocomio reggino dove, alla presenza del figlio di Pandolfo, Marco – è detto in un comunicato – il commissario straordinario Gianluigi Scaffidi ha voluto onorare il ricordo del dr. Pandolfo (che tutti chiamavano Nicola) attraverso un atto istituzionale al quale hanno preso parte amici e colleghi di lavoro che hanno tracciato il profilo di un professionista intransigente e severo – prima di tutto con se stesso – ma anche di un uomo buono e generoso. Durante l’incontro, il commissario ha delineato tutto il percorso professionale di Pandolfo a Reggio Calabria dove fu allievo del prof. Romeo Eugenio Del Vivo, neurochirurgo di fama europea formatosi a Zurigo e chiamato a dirigere il nuovo reparto di Neurochirurgia, unità che successivamente Pandolfo guidò brillantemente, nonostante le numerose problematiche del tempo”. “Avevamo difficoltà a reperire i materiali, eravamo sforniti di tutto – ha sostenuto Scaffidi che con Pandolfo lavorò per lungo tempo – ricordo che negli anni ’80, quando arrivarono le prime Tac, Pandolfo riuscì ad ottenerne una. Era la prima Tac pubblica da Napoli in giù. Quando arrivò alla stazione, andammo a prenderla personalmente, Nicola in testa e noi a seguire, perché giravano voci di sabotaggio. Ci ha formati con la sua intransigenza incentivandoci e a dare il massimo, lavorando costantemente e a ritmi serrati.” “Ho iniziato un percorso di condivisione della mia storia – ha detto Marco Pandolfo – per ricordare ed onorare la figura di mio padre e lo faccio raccontando la sua storia nelle scuole e nei programmi di riabilitazione. Ci sono medici che fanno i professori, medici che si occupano di questioni burocratiche e poi ci sono medici come mio padre e Girolamo Marino, primario di Chirurgia all’Ospedale di Locri che nel 1988 venne ucciso per aver operato una bimba che, dopo essersi svegliata dall’anestesia, entrò in coma e morì 2 giorni dopo, che operano e tentano di salvare vite e poi muoiono loro stessi nell’adempimento di un loro dovere. Darò sempre la mia disponibilità a discutere di tutto, anche della criminalità organizzata, però lo farò ai giovani sperando che durante la loro crescita non siano travolti dall’ignavia”.