Un voto di fiducia come si conviene a un governo che sta per nascere: domani prima i senatori e poi i deputati sfileranno sotto i banchi del governo e annunceranno il loro voto davanti al presidente del Consiglio Mario Draghi. Una fiducia con il sistema della chiama nominale su un ragionamento politico, quello che farà Draghi in Aula, e non su un testo di legge. Un segnale che fa dire a una fonte parlamentare che si tratta di un passo in direzione della prosecuzione del governo guidato dall’ex governatore della Bce. Un altro segnale è stato dato dalla richiesta (non accolta) arrivata da Partito Democratico, M5s, Insieme per il Futuro, Leu e Italia Viva nel corso della conferenza dei capigruppo di Montecitorio perché si potesse votare prima alla Camera e poi al Senato. Il tutto sarebbe stato funzionale a veder realizzato quel “fatto politico” nel M5s che potrebbe convincerebbe Draghi a rivedere la sua scelta di dimettersi. Ovvero l’uscita di un gruppo di parlamentari dal Movimento così da sostenere il premier senza alterare eccessivamente gli equilibri di Esecutivo e maggioranza. Se questa uscita non dovesse verificarsi, infatti, Draghi avrebbe sì ancora una maggioranza, ma nettamente sbilanciata a destra. Perché votare prima alla Camera? Perché al Senato i contiani del M5s sono molto compatti, per cui l’immagine plastica offerta dal voto potrebbe essere quella di una coalizione sostenuta in larga parte dal centrodestra più il Partito Democratico. E Draghi, si ragiona a Montecitorio, potrebbe decidere di confermare la decisione annunciata. Un ostacolo aggirabile, viene però considerato. Se i Cinque Stelle dissidenti annunceranno fuori dall’aula l’addio a Conte prima del voto -come ormai sembra probabile- certificheranno già quel “fatto politico” che si attende. E Mario Draghi, a quel punto, potrebbe revocare le dimissioni e incassare il voto favorevole prima al Senato e poi alla Camera.