La cosca Alvaro di Sinopoli aveva dato vita a Roma a un vero e proprio “Locale” di ‘ndrangheta, una vera e propria articolazione del clan, che rappresenta un distaccamento autonomo, del sodalizio radicato a Sinopoli e Cosoleto. Secondo gli inquirenti è emersa “un’immagine nitida dell’esistenza di una propaggine romana” oggetto di indagine da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, connotata da un’ampia autonomia nella gestione delle attività illecite, pur nella permanenza di uno stretto legame con la casa madre sinopolese, interpellata per la soluzione di situazioni di frizione tra i sodali romani o per l’adozione di decisioni concernenti l’assetto della gerarchia criminosa della capitale. La stessa costituzione del distaccamento romano sarebbe stata autorizzata dai massimi vertici della ‘ndrangheta, operanti in Calabria. Il legame tra la ‘casa madre’ sinopolese – sottolineano gli inquirenti – e la propaggine romana è stato sempre attivo e gestito con estrema cautela: le indagini hanno svelato che, secondo una strategia ben specifica, i due capi del locale di ‘ndrangheta romani limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali, in occasione dei quali si sarebbero svolti incontri fugaci ma risolutivi; nei casi di estrema urgenza, poi, gli incontri sono stati concordati mediante l’intermediazione di ‘messaggeri’.Alcuni dei destinatari della misura sono stati già condannati per l’appartenenza alla cosca Alvaro con sentenze passate in giudicato.
Sono state eseguite perquisizioni nelle abitazioni degli indagati per l’acquisizione del materiale di rilievo probatorio. Nel corso dell’attività di indagine, svolta dalla Direzione Investigativa Antimafia con il supporto della rete @ON finanziata dall’Unione Europea, è stato avviato un coordinamento investigativo fra le due Dda interessate. Il filone romano dell’inchiesta ha portato all’ esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti di 43 persone (38 in carcere e 5 agli arresti domiciliari).
Operazione “Propaggine”, le vittime non denunciavano per paura
“L’insieme delle circostanze hanno dato prova del metodo mafioso e della paura di coloro che si sono trovati sulla strada dei capi e degli associati della ‘locale’ di ‘ndrangheta capitolina di cui alla diarchia Carzo e Alvaro, o di Giuseppe Penna che professava la sua aperta vicinanza alla ‘ndrangheta (“dietro di me c’è una nave”), anche spalleggiandosi delle intime amicizie e frequentazioni con Domenico Alvaro (già condannato definitivo per 416 bis), impedendo alle vittime così di denunciare alle forze dell’ordine avendo paura di ritorsioni”. Lo scrive il gip di Roma Gaspare Sturzo nell’ordinanza con cui ha disposto 43 arresti nell’ambito dell’indagine della Dda della Capitale e della Dia, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò, nei confronti della prima ‘ndrina calabrese attiva a Roma e sgominata con la maxi operazione di oggi. “Siamo di fronte ad un complesso di vicende che a partire dal 2015/2016 si sono sviluppate, alcune ancora in corso sino al settembre 2020 – si legge nell’ordinanza – e comunque con effetti di permanenza quanto a società ed aziende ad oggi gestite con capitali di illecita provenienza, o oggetto di riciclaggio, mostrando come gli indagati sono stati in grado di impedire ogni forma di collaborazione con le autorità giudiziarie, sia delle vittime, come di professionisti non collusi con costoro, nonché degli stessi dipendenti delle aziende e società”.