Com’era facilmente prevedibile, il recente voto referendario in Irlanda sui matrimoni gay ha riacceso il dibattito nel nostro Paese sulle unioni civili. Angelino Alfano si è affrettato a specificare che “la nostra posizione è chiara: sì alle unioni civili, sì al riconoscimento dei diritti delle persone con un rafforzamento patrimoniale di questi diritti, no alla equiparazione al matrimonio, no alla reversibilità della pensione, no alle adozioni dei figli”. Renzi e Berlusconi hanno intensificato lo studio di un nuovo “patto” che dovrebbe introdurre nel nostro ordinamento le unioni civili sulla base del modello tedesco, evitando tuttavia ogni paragone o riferimento diretto al matrimonio, pur attribuendone, solo in parte, i diritti e i doveri. Più in generale, le proposte e le formulazioni prospettate dai parlamentari italiani, tranne qualche eccezione, se non rappresentano evidenti insulti alla comune intelligenza, sembrano pescare con cura nella più volgare intolleranza integralista. In Irlanda, terra di antiche radici cattoliche, nel giro di 22 anni, si è passati dalla depenalizzazione dell’omosessualità come reato, all’introduzione delle unioni civili nel 2010, fino al recente risultato referendario sulle nozze gay. I voti favorevoli sono stati a livello nazionale il 62,1%, con punte di oltre il 70% nelle città come Dublino. Quindi gli irlandesi hanno introdotto un emendamento che cambia la loro Costituzione e consente le nozze fra persone dello stesso sesso. Il premier Enda Kenny, che con il suo governo ha fortemente appoggiato la vittoria del sì, ha parlato di “momento storico” e di “messaggio da pionieri” che gli irlandesi hanno inviato a tutto il mondo. Dopo la proclamazione del risultato finale l’arcivescovo di Dublino e Primate d’Irlanda Diarmuid Martin ha affermato : “ Quanto è accaduto non è soltanto l’esito di una campagna per il sì o per il no, ma attesta un fenomeno molto più profondo, una rivoluzione culturale. (…) Questo enorme cambiamento porterà effetti concreti ancora imprevedibili, perché il matrimonio in chiesa è anche un rito civile e le coppie gay che se lo vedranno rifiutare potrebbero ricorrere ai giudici accusandoci di discriminazione. La Chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni hanno rifiutato di coglierla. E’ necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto soprattutto grazie al voto dei giovani e il novanta per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche”. A questo punto, contando i 28 stati dell’Unione Europea, sono rimasti solo in 9 a non prevedere alcuna forma di riconoscimento delle coppie non eterosessuali, mentre in tutta l’Europa Occidentale figura un solo stato, ovviamente il nostro. Intanto, nella Chiesa cattolica italiana le reazioni alla lezione irlandese non potevano essere univoche e hanno confermato le permanenti difficoltà di realizzare compiutamente la visione del liberalismo italiano nei confronti del problema dei rapporti fra Stato e Chiesa. Il giornale l’Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, ha scelto di utilizzare un’arma di “distrazione di massa”, scrivendo che a determinare l’esito del referendum sul matrimonio omosessuale è stato “l’abisso dello scandalo della pedofilia” che ha travolto recentemente l’Irlanda. L’altro quotidiano di riferimento della Santa Sede, l’Osservatore Romano, ha usato una chiave di lettura diversa, scrivendo : ” Nessun anatema, piuttosto una sfida da raccogliere per tutta la Chiesa”. Ma al di là delle dichiarazioni riportate dalla più autorevole stampa cattolica, è molto difficile che il nostro Paese riesca a ottenere dalla gerarchia vaticana, in genere sempre più divisa sulla necessità e sull’urgenza di riconoscere finalmente tutti i fondamentali diritti civili della persona umana, anche il definitivo lasciapassare alle coppie omosessuali. Del resto Papa Francesco ha già esplicitato chiaramente le sue idee a proposito dell’omofobia. Durante il volo di ritorno dal Brasile, nel mese di luglio 2013, dopo il bagno di folla alla messa celebrata sulla spiaggia di Copagabana, il Papa si è intrattenuto con i giornalisti sottolineando, fra l’altro : “ Se uno è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarlo? Non si devono discriminare o emarginare queste persone, lo dice anche il Catechismo. Il problema per la Chiesa non è la tendenza. Sono fratelli”. Idee così chiare e al contempo tanto rivoluzionarie che avrebbero dovuto sortire un rivolgimento radicale nell’intero mondo cattolico. Invece non è successo nulla, malgrado questa volta l’attenzione fosse stata focalizzata su un diritto basilare di ogni persona: il diritto di amare e di ricevere dallo Stato un trattamento equivalente a quello di tutti, senza alcuna pretesa di censurare ciò che è ingiudicabile, come l’orientamento sessuale.
Carlo Rippa