Ventinove misure cautelari personali, diverse delle quali rivolte ad esponenti apicali della ‘ndrangheta, e il sequestro di cinque aziende di trattamento rifiuti tra Calabria e Emilia Romagna sono state eseguite stamani dai carabinieri del Gruppo forestali e del Comando provinciale di Reggio Calabria nell’ambito di una inchiesta della Dda reggina. Gli indagati sono accusati, a vario titolo di, associazione mafiosa, traffico illecito di rifiuti ed altri reati ambientali al termine di una indagine condotta dal Nipaaf, il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale dei Carabinieri Forestali.
All’operazione, denominata “Mala pigna”, hanno partecipato anche i carabinieri forestali dei Reparti in Calabria, Sicilia, Lombardia ed Emilia Romagna, con il supporto dello squadrone eliportato “Cacciatori Calabria” e i militari dell’ottavo Nucleo Elicotteri Carabinieri di stanza a Vibo Valentia. I provvedimenti sono stati emessi dal gip Vincenza Bellini su richiesta della Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri. I dettagli dell’operazione saranno illustrati dal generale Antonio Pietro Marzo, comandante delle Unità forestali, e dai vertici della Procura reggina in una conferenza stampa in programma alle 11.00 al Comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria.
La filiera dei rifiuti partiva da Gioia Tauro e arrivava fino al Nord Italia. A gestirla era la cosca Piromalli. È quanto emerge dall’operazione “Malapigna” condotta dai carabinieri forestali con il coordinamento del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci e dai sostituti della Dda Giulia Pantano e Paola D’Ambrosio. Con l’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip Bellini, sono finiti in carcere esponenti di vertice della famiglia mafiosa ma anche imprenditori di riferimento della cosca Piromalli. L’epicentro del traffico di rifiuti sarebbe stato Gioia Tauro. Oltre all’associazione mafiosa, la Dda reggina ha contestato agli indagati pure il reato di disastro ambientale.
Pittelli tramite per il pagamento di una perizia
L’ex parlamentare e avvocato Giancarlo Pittelli è fra le persone destinatarie di una misura cautelare nell’ambito dell’operazione dei Carabinieri “Malapigna” che coinvolge 29 persone. Pittelli, già ai domiciliari in quanto coinvolto nell’operazione “Rinascita Scott” della Dda di Catanzaro, è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Per Pittelli la Dda reggina ha disposto la custodia cautelare in carcere. L’ex parlamanetare (è stato deputato e senatore di FI e Pdl), nell’ambito di “Rinascita-Scott” è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di segreti d’ufficio ed abuso d’ufficio nell’ambito della maxi-operazione condotta dai carabinieri e coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. Avrebbe messo a disposizione di alcuni clan del Vibonese, come i Mancuso di Limbadi e Nicotera ed i Razionale-Fiarè-Gasparro di San Gregorio d’Ippona, i suoi canali ed i suoi agganci per rafforzare il loro potere mafioso.
Giancarlo Pittelli, avvocato ed ex parlamentare, è accusato di essersi fatto tramite fra il boss Giuseppe Piromalli, 76 anni, detto “Facciazza”, detenuto in carcere in regime di isolamento, il figlio Antonio di 49 e Rocco Delfino, esponente di spicco del clan, in merito al pagamento di un perito incaricato di esaminare la pistola usata per l’uccisione del sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione Antonino Scopelliti. Giuseppe Piromalli è considerato uno dei mandanti dell’omicidio, avvenuto il 9 agosto 1991 in un agguato a Campo Calabro, nel Reggino, mentre la vittima, a bordo della sua auto, rientrava a casa. Secondo i magistrati reggini, Pittelli avrebbe riferito a Delfino, tramite Antonio Piromalli, che era necessario versare 30.000 euro al perito incaricato di esaminare l’arma, ritrovata in un terreno alle pendici dell’Etna su indicazione del pentito Maurizio Avola. Il pagamento doveva avvenire tramite bonifico, ma senza che i soldi, provenienti da attività criminali, potessero essere tracciati.
Pittelli, secondo quanto emerge dagli atti dell’inchiesta, avrebbe recaptato a Delfino, da parte di Antonio Piromalli, una missiva “finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli detto ‘Facciazza’, indagato quale mandante insieme con altri capi cosca di ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, del giudice Antonino Scopelliti facendosi portavoce delle esigenze delle cosche, pianificando un sistema al fine di eludere la tracciabilità del denaro necessario alle strategie difensive proveniente da profitti criminali ed al cui pagamento avrebbe dovuto provvedere Rocco Delfino per un importo di circa 30.000 euro”. L’ex parlamentare, inoltre, secondo i giudici inquirenti, “consapevole dello spessore criminale di Rocco Delfino”, si sarebbe attivato pet tutelarlo da eventuali inchieste della magistratura mettendolo in guardia dall’inchiesta “Rinascita Scott” in cui egli stesso è coinvolto.