Dieci anni dopo la “rivolta di Rosarno” nulla sembra essere cambiato. Alcune delle baracche di fortuna hanno lasciato il posto alle tende della Protezione civile, ma lo scenario è pressocché immutato. Centinaia di migranti ammassati tra Rosarno e San Ferdinando per lavorare nelle campagne della Piana come braccianti agricoli. Quanti siano i volti dei migranti è difficile dirlo. I volontari parlano di circa duemila persone. Alcuni vivono nelle tende, altri nella baraccopoli, altri ancora in casolari abbandonati. E’ l’umiliazione dell’uomo, ma anche la triste storia di un’agricoltura piegata alle logiche di mercato. Diventata disperazione anziché trasformarsi in ricchezza. “Colpa dei prezzi troppo bassi degli agrumi”, dicono alcuni agricoltori della zona. Il 6 gennaio 2010 questa disperazione divenne rabbia. A provocare la reazione dei migranti furono i colpi di arma ad aria compressa esplosi contro la baraccopoli, con un ferito grave. Fu la classica goccia che scatenò la violenta reazione delle anime disperate che misero la città a ferro e fuoco. Da allora sono passati dieci anni e Medu, l’associazione Medici per i diritti umani, non ha dubbi: “Oggi, a dieci anni di distanza, il numero resta pressoché invariato, dopo aver raggiunto picchi di oltre 3 mila presenze negli anni passati, e altrettanto sconcertanti restano le condizioni di vita e di lavoro. E d’altra parte, ieri come oggi, le istituzioni locali, spesso commissariate per infiltrazioni mafiose, e quelle nazionali appaiono incapaci di qualsivoglia pianificazione politica efficace, coraggiosa e lungimirante, limitandosi invece a riproporre il circolo vizioso sgombero-tendopoli-baraccopoli, che da dieci anni lascia invariate le piaghe dello sfruttamento lavorativo, del degrado abitativo e dell’abbandono dei territori”.
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