Nella confusione generale innescata da questa paradossale e per certi versi ridicola crisi di governo, una sola cosa si può forse dare per certa. Domani il Presidente del Consiglio Conte, subito dopo aver rassegnato le sue comunicazioni nell’aula del Senato, salirà al Colle per dimettersi. Il Quirinale, in contatto pressochè costante con Conte, si prepara a consultazioni lampo: mercoledì Mattarella potrebbe incontrare i presidenti delle due Camere, a seguire i rappresentanti dei partiti. L’apertura della crisi viene dunque data per scontata, dopo che Lega e Cinquestelle hanno trascorso la domenica insultandosi in vario modo. Bisognerà però vedere se Conte salirà al Colle prima del voto di sfiducia oppure dopo che i senatori avranno espresso il proprio voto. Un voto di sfiducia taglierebbe definitivamente fuori l’ipotesi di una “pace” in extremis tra Lega e M5S; senza la sfiducia anche questa ipotesi (ad oggi davvero difficile da ritenere plausibile) resterebbe in campo. Conte comunque, almeno secondo quanto trapela dagli ambienti a lui più vicini, ci andrà giù duro con Salvini levandosi numerosi “sassolini” dalle scarpe strette che per lungo tempo il ministro dell’Interno lo ha costretto a calzare. Quando le dimissioni saranno alla fine formalizzate arriverà il momento della discesa in campo di Mattarella, vero arbitro ma anche co-giocatore nella partita della crisi. Il Capo dello Stato vuole evitare che la crisi vada troppo per le lunghe come avvenne, ad esempio, nel 2018 subito dopo le elezioni; chiederà per ciò alle forze politiche la massima chiarezza, impegni dettagliati e una visione di ampio respiro. Niente accordi finalizzati esclusivamente a tirare in lungo la legislatura. O si è in grado di fare un Governo che abbia un programma omogeneo e ampio, da sviluppare nei restanti anni della legislatura, oppure il Colle non sarà disponibile a ratificare accordi al ribasso. Bisognerà verificare se, al di là della comune voglia di non andare al voto, tra Cinquestelle e Pd sarà davvero possibile trovare un comune terreno su cui incardinare un programma di governo. Considerando anche che molti, sia tra i militanti del Pd che tra gli elettori del M5S, vedono questo ipotetico connubio come il fumo negli occhi. Anche il Governo istituzionale lanciato da Renzi, anche nella formula Ursula ipotizzata da Prodi (tutti dentro quelli che hanno votato per la nuova presidente della Commissione Ue), è destinato a incontrare difficoltà per la reciproca indisponibilità dei Cinquestelle e di Forza Italia a fare parte di una stessa eventuale maggioranza. Gianni Letta, consigliere storico di Berlusconi, sta spingendo perché gli azzurri si facciano coinvolgere, ma il Cavaliere continua a dire di non voler avere nulla a che fare con i Cinquestelle. Distacco espresso con ancor più decisione dal M5S nei confronti del leader di Forza Italia. Sembrano dunque tutte in salita le strade che portano ad un nuovo Governo ma quasi tutti gli osservatori sono d’accordo su un fatto: quelli che hanno il terrore di andare alle elezioni sono troppi: nei Cinquestelle, nel Pd, in Leu e anche in Forza Italia. “Vedrete -commenta serafico un senatore con molta esperienza- che alla fine si troverà il modo per nobilitare qualunque accrocco pur di restare a Palazzo Madama e a Montecitorio. Con tanti saluti a Salvini che, stavolta, le mosse le ha sbagliate proprio tutte”.