REGGIO EMILIA. Vincenzo Iaquinta, tra gli imputati di Aemilia, il più grande processo mai celebrato nel Nord Italia contro la ‘ndrangheta, è stato condannato a due anni di reclusione. L’ex bomber della Nazionale e della Juventus, campione del mondo nel 2006, è imputato per reati relativi alle armi. L’accusa aveva chiesto sei anni. Nella sentenza di primo grado è caduta l’aggravante mafiosa. Giuseppe Iaquinta, padre dell’ex calciatore, accusato di associazione mafiosa è stato invece condannato a 19 anni di reclusione. “Ridicoli, vergogna” hanno gridato padre e figlio uscendo poi dall’aula del Tribunale di Reggio Emilia. La sentenza per 148 imputati è arrivata dopo due settimane di camera di consiglio ‘blindata’ da parte del collegio giudicante composto da Cristina Beretti, Francesco Maria Caruso e Andrea Rat. “Il nome ‘ndrangheta non sappiamo neanche cosa sia nella nostra famiglia. Non è possibile. Andremo avanti. Mi hanno rovinato la vita sul niente, perché sono calabrese, perché sono di Cutro. Io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso di essere calabrese. Noi non abbiamo fatto niente perché con la ‘ndrangheta non c’entriamo niente”: questo lo sfogo dell’ex bomber della Nazionale, Vincenzo Iaquinta, condannato a due anni nel processo Aemilia, il più grande mai celebrato nel Nord Italia contro la ‘ndrangheta. L’ex calciatore era imputato per reati di armi. “Sto soffrendo come un cane – ha detto Iaquinta gridando alle telecamere fuori dal tribunale di Reggio Emilia – per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto niente”.