Corona, la casa sequestrata e il “pregiudicato” calabrese
MILANO. Ha comprato la sua casa in una delle zone della movida e della moda milanese con soldi di provenienza illecita e intestandolo a un prestanome. E, a riprova dell’ “opacità” dell’operazione, gran parte del denaro usato per l’acquisto è finito nelle tasche di un “pregiudicato” calabrese. Sono questi, in sintesi, i motivi per cui lunedì il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza ha sequestrato a Fabrizio Corona un appartamento, del valore di circa 2,5 milioni, in via De Cristoforis. Appartamento dove l’ex fotografo ha vissuto fino a un mese fa, prima di essere di nuovo arrestato dopo la scoperta di 1,7 milioni a lui riconducibili nascosti nel controsoffitto della casa della sua collaboratrice. Il sequestro, disposto dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale su richiesta del pm della Dda Alessandra Dolci, si inserisce nel filone principale dell’indagine coordinata dal Procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Paolo Storari che lo scorso 10 ottobre ha appunto portato ancora in carcere l’ex re dei paparazzi con tanto di revoca dell’affidamento in prova ai servizi sociali. E mentre su questo capitolo domani pomeriggio si terrà l’udienza davanti ai magistrati di sorveglianza, oggi il sequestro della sua casa che, secondo il Tribunale sarebbe stata comprata dirottando denaro in ultima analisi dalla fallita Corona’s, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, irritando non poco chi lo aveva ospitato nella sua comunità. “Corona caro, prima di tutto non venire da me perchè sono troppo buono e mi hai fregato”, ha scritto in una nota Don Mazzi, fondatore di Exodus, aggiungendo di non essere pentito per averlo accolto ma di “essere arrabbiato perchè mi pare di essere stato imbrogliato”. Anche Ivano Chiesa, difensore del fotografo, è letteralmente imbestialito e ha annunciato che il prossimo 24 gennaio, giorno fissato per l’udienza sulla misura di prevenzione, “cadranno i vetri dell’aula. Dirò ciò che penso delle misure di prevenzione – ha affermato -. Sono una cosa incredibile. Sono state inventate per essere applicate alla criminalità organizzata, e già così hanno costretto più volte a sollevare dubbi di costituzionalità, e adesso – ha proseguito Chiesa sottolineando di parlare anche come tecnico della materia – vengono applicate indiscriminatamente a chicchessia, da ultimo per i reati fiscali puri. Tutto ciò fa paura”. Secondo la ricostruzione riportata nel provvedimento di sequestro la “pericolosità sociale” di Corona “si era già compiutamente e reiteratamente manifestata” nel marzo 2008, quando cioè, tramite un prestanome e con denaro provento di reato, compro’ l’appartamento. Già a partire dal 2005, e nel periodo contiguo all’acquisto, aveva commesso una serie di reati, anche di natura fiscale e di bancarotta, “senza soluzione di continuità”, confermati dalle “ancor più numerose condanne successive”. E se lui stesso in un interrogatorio del 2009 ammise l’origine illegale dei soldi usati per comprare la casa, intestata in modo fittizio a Marco Bonato, suo ex collaboratore e coimputato, secondo i giudici Maria Gaetana Rispoli, Giuseppe Cernuto e Ilario Pontani, l’operazione immobiliare presenta “aspetti ulteriori di presumibile illiceità”. Il denaro, innanzitutto, è frutto di “un’appropriazione indebita ai danni della Fenice srl”, la società in cui sarebbero confluiti i soldi della fallita Corona’s, e dal cui conto corrente, nel 2008, sarebbe uscito “1 milione e centomila euro, suddiviso in 22 assegni circolari di 50 mila euro ciascuno”. Assegni poi versati dall’avvocato Tommaso Delfino, su delega dello stesso Corona, ai due ex proprietari dell’immobile Pasquale Ceravolo e Giuseppina Gallo, anche loro si presume venditori “fittizi”, i quali a loro volta avrebbero girato le somme “al pregiudicato calabrese Vincenzo Gallo, che appare così il beneficiario finale del pagamento”. Quest’ultimo è, per altro, parente di Domenico Gallo, imprenditore della Calabria noto nel campo delle costruzioni stradali e arrestato una decina di giorni fa per l’inchiesta sulle Grandi Opere. Insomma, per i giudici milanesi si tratta di un’operazione su cui gravano una serie di “opacità” come, tra l’altro, il rogito effettuato a Reggio Calabria, a “oltre mille chilometri dal luogo ove si trova l’appartamento”, e l’ “interposizione fittizia” dei coniugi Ceravolo-Gallo dietro i quali si sarebbe celato Luca De Filippo, il commercialista coinvolto nella indagine romana che ha portato di recente di nuovo in cella l’immobiliarista Stefano Ricucci.