Ndrangheta, un pentito: “Uccisi un mio rivale e la madre morì di dolore”
VIBO VALENTIA. “Ho capito il dolore che causavo ai familiari delle mie vittime quando dopo aver ucciso un rivale, al ritrovamento dopo un mese del cadavere la madre della persona uccisa ha avuto un malore ed è morta pure lei. Da allora ho avuto una crisi di coscienza e ho rotto con la ‘ndrangheta decidendo di collaborare con la giustizia”. Questa la spiegazione data oggi pomeriggio al Tribunale di Vibo Valentia dal pentito crotonese Francesco Oliverio, 43 anni, già a capo del clan di Belvedere Spinello, ascoltato in videoconferenza da una località protetta nell’ambito del processo “Libra” contro il clan Tripodi di Vibo Marina. Alleanze fra i clan vibonesi e crotonesi, affari della ‘ndrangheta in Lombardia con l’intenzione di intromettersi nei lavori dell’Expo ed anche nei subappalti dei lavori del dopo-terremoto a L’Aquila sono stati i temi sui quali il pentito Oliverio ha riferito al Tribunale, non mancando di sottolineare i legami che a suo dire avrebbe avuto il clan Tripodi con settori deviati della massoneria e con politici di fuori regione. Il clan Tripodi, secondo il pentito, avrebbe inoltre gestito tramite prestanomi del vibonese anche emittenti radiofoniche, non mancando di inserirsi in diversi appalti pubblici del Nord attraverso proprie ditte attive nel movimento terra e nel settore edilizio.